Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Quinta edizione – 2003
Lorenzo Ferrarese
Bar Marocco
La parte più difficile veniva adesso.
Il vestito? No, il vestito non era un problema, aveva sempre avuto buon gusto in fatto di abbigliamento. Un tailleur grigio, di taglio semplice, con una camicetta bianca senza fronzoli, collo largo e scollatura profonda, avrebbe strategicamente nascosto quei chili in più che vedeva riflessi nel grande specchio della sua camera da letto.
Si soffermava spesso davanti a quello specchio, la sera prima di andare a dormire, ad esempio, o la domenica mattina dopo un bagno rilassante. Le piaceva guardarsi, era piuttosto soddisfatta del suo corpo, ed i difetti che il suo occhio esperto notava erano, in fondo in fondo, abbastanza insignificanti, le piaceva passarsi le mani lungo i fianchi larghi solo un po’ appesantiti dall’età e accarezzarsi come quando era adolescente i seni abbondanti, ancora sodi, con i capezzoli ancora puntati orgogliosamente verso il cielo. Solo la pancia non le piaceva, quel leggero gonfiore sotto l’ombelico, che ore ed ore di ginnastica non erano riuscite ad appiattire. Ma tant’è, a cinquant’anni appena compiuti non poteva pretendere di più, ed il vestito che aveva scelto per oggi sembrava fatto apposta per nascondere il difetto.
Vent’anni. Erano passati vent’anni dall’ultima volta che l’aveva visto. Scacciò con un brivido il pensiero, non era ancora pronta, ci avrebbe riflettuto solo più tardi, quando l’abito, come una corazza, l’avrebbe protetta da tutto il mondo.
Aprì il cassetto della biancheria intima e rimase dubbiosa su cosa scegliere. Provò vari completi, valutando con occhio critico ed esperto l’effetto che avrebbero potuto fare. Si mise a ridere, quando si accorse che si stava comportando come una ragazzina al suo primo appuntamento serio o, meglio, come un’amante appassionata che corre ad incontrare il suo uomo.
Vent’anni erano passati da allora, da quando per l’ultima volta aveva messo così tanta cura nella scelta dell’abbigliamento, e ricordò che anche quella volta aveva riso tra sé, indossando il reggiseno che a lui piaceva tanto, pur sapendo che sarebbe stato un incontro di addio.
Guardò l’orologio, fu contenta di scoprirsi in ritardo, doveva sbrigarsi, non aveva tempo di perdersi nel passato.
Con gesti aggraziati e rapidi finì di vestirsi, si truccò leggermente, si mise qualche goccia di profumo e, dopo aver dato un’ultima occhiata nello specchio all’effetto generale, uscì di corsa sperando di trovare in fretta un taxi.
La parte più difficile veniva adesso.
Il puzzo del gas di scarico delle automobili era insopportabile. Il rumore penetrava come uno stiletto fino al centro del cervello provocando fitte di dolore. L’uomo, seduto ad un tavolino all’aperto del bar Marocco, in pieno centro, si agitava sulla poltroncina, attribuendo all’odore ed al rumore il nervosismo che gli impediva di concentrarsi e di mettere a fuoco le idee.
Vent’anni. Non aveva creduto ai suoi occhi quando aveva letto il nome del mittente su quella lettera azzurrina, un mese prima. E dire che stava per buttarla via, mescolata com’era al solito mazzetto di pubblicità che ingolfava ogni giorno la cassetta. Un nome, e un salto indietro di vent’anni, le narici stimolate dal ricordo di un profumo quasi dimenticato, in bocca il sapore di una donna che credeva sepolta in un angolino della memoria, in realtà sempre presente, se ne rendeva conto, anche se mascherata in mille modi diversi.
Si era infilato la lettera in tasca, quel giorno, non l’aveva aperta subito. Era entrato in casa, si era tolto le scarpe, aveva preparato un caffè, aveva estratto il pane dal congelatore, aveva fatto mille altre cose pur di rimandare il momento della lettura.
Il piacere di rimandare il piacere.
Aveva fatto sempre così nella sua vita, pentendosi poi amaramente quando scopriva che a forza di rimandare, il piacere, quello vero, era andato a trovare soddisfazione da qualche altra parte.
Infine non ebbe più scuse, dovette sedersi ed aprire la busta. Fu abbastanza deluso quando vide che era brevissima; si limitava a chiedergli, dopo i saluti di rito, se aveva tempo e voglia di incontrarla e, in caso affermativo, di telefonarle al numero tal dei tali. Chissà cosa si era aspettato. E ancora più deluso fu quando, dopo un paio di giorni di dubbi e meditazioni, una voce deformata da disturbi telefonici gli diede appuntamento di lì ad un mese al bar Marocco della sua vecchia città. Lo stridere insopportabile della linea aveva loro impedito di parlare più a lungo, e lui non se l’era sentita di richiamare.
Ed ora era lì, nervoso come un ragazzino, a cinquant’anni suonati!
Si era vestito bene, per l’occasione. Dopo anni di trasandatezza si era finalmente comperato una giacca nuova e dei blue jeans di marca che gli stavano veramente bene; dopotutto, aveva una corporatura ancora abbastanza slanciata, e in giro si diceva di lui che si manteneva bene, anche se si trascurava un po’. Oggi, invece, era proprio elegante, e l’immagine che stamani aveva visto riflessa nello specchio della camera d’albergo gli era talmente piaciuta da fargli promettere a se stesso che d’ora in poi sarebbe sempre andato in giro cosi.
Guardò l’orologio per la centesima volta. In ritardo, come al solito, pensò, e poi rise: dall’ultima volta che era arrivata in ritardo, erano passato vent’anni.
La donna che vide scendere dal taxi lo lasciò di sasso. Solo più tardi si sarebbe accorto delle rughe agli angoli degli occhi sapientemente nascoste dal trucco, dei polpacci un po’ più grossi di quelli che ricordava lui, del colore dei capelli non proprio naturale. Quello che vide, invece, in quel momento fu la donna che aveva amato una vita fa, splendente e quasi arrogante nella fioritura dei suoi trent’anni, immutata, come se si fosse ibernata solo per lui, per non fargli sentire il dolore del tempo che passa.
La donna fece un po’ più di fatica a riconoscerlo. Spesso, negli ultimi giorni, aveva cercato di immaginare che aspetto avrebbe avuto l’uomo, raffigurandoselo ora grasso e calvo, ora abbronzato e aitante ma, chissà perché, non aveva mai pensato al colore dei capelli, non le era venuto in mente che si potessero essere sbiancati. Solo quando da un tavolino notò il gesto familiare di richiamo lo riconobbe, e sorrise.
Il dialogo stentava a decollare. Dopo i „Ciao, come stai“ „Bene, e tu?“ si era passati ai „In che albergo sei sceso?“ „AI Venezia“ „Hai visto come l’hanno ristrutturato?“ „Si, ma lo preferivo come era prima“, ed infine scese il silenzio imbarazzato di chi apparentemente non aveva più niente da dirsi.
– E tu, ti sei sposato, poi?
Come sempre, fu lei a prendere l’iniziativa.
– No, ci sono arrivato vicino un paio di volte, ma poi ho lasciato perdere.
– Come mai?
– Mah, la risposta più semplice sarebbe che non erano le tipe adatte, però…
– Però?
– Probabilmente non avevo nessuna voglia di ingabbiarmi in un rapporto senza troppo amore.
– Eh già, sei sempre stato così, nel momento decisivo ti sei sempre tirato indietro…
L’uomo sollevò di scatto la testa, la guardò stupito, aprì la bocca per dire qualcosa, poi ci ripensò. La donna proseguì.
– Su, non fare la tua solita faccia indignata, non voglio mica litigare.
E rise.
– No, ma non trovo giusto che tu…
– Basta, basta, ritiro tutto.
Rimasero in silenzio per qualche secondo.
– E tu, stai ancora con tuo marito?
Si vergognò subito della perfidia che si celava dietro quelle parole, non erano altro che una piccola meschina vendetta per le frasi di prima. Sapeva bene di rimestare il coltello in una piaga che non sapeva bene fino a che punto si fosse rimarginata.
– Sei sempre il solito stronzo – rispose la donna – riesci sempre a rovinare i momenti più belli con queste uscite balorde.
Per un momento, l’uomo temette che lei si alzasse e se ne andasse, sparendo nel nulla per sempre. Ma la sua faccia impaurita parve avere l’effetto di un calmante sulla donna. I lineamenti le si rilassarono, ed un sorriso appena accennato si disegnò sulle sue labbra.
– No, ci siamo separati da un po’.
– Come mai? – chiese l’uomo incuriosito.
– Ecco, la tua solita fretta. Siamo seduti qui da dieci minuti, dopo vent’anni, e la cosa che ti interessa di più è mio marito. Potrei anche sentirmi offesa.
Disse quest’ultima frase con quel tono di voce malizioso che risvegliò in lui antiche sensazioni, brividi che credeva oramai scomparsi, sepolti.
– Hai perfettamente ragione, il mio istinto pettegolo non si è affatto affievolito con il passare degli anni. Chiedo pietà e perdono.
– Scemo.
– E allora, parliamo di noi, anzi, di te. Sai che sei splendida? Non avrei mai immaginato che in vent’anni si potesse non invecchiare. Ho pensato spesso a te, a come eri diventata, ma devo ammettere che, una volta tanto, la realtà ha superato di gran lunga la fantasia.
– Vedo che non hai neanche perso l’abitudine di dire un sacco di stupidaggini. Comunque, non per ricambiare i complimenti, ma anche tu ti difendi bene. Sai che i capelli bianchi ti donano? E’ tanto che… ?
– Sei o sette anni, credo.
– E sei anche più elegante di una volta.
– Non voglio imbrogliarti, mi sono comprato questi vestiti per l’occasione.
– Sono ancora così importante?
Il sorriso spari dalla faccia dell’uomo. Lo sguardo si perse ad inseguire le evoluzioni di un motorino rumoroso che zigzagava come un pazzo tra le macchine bloccate nell’ingorgo.
– Allora, vuoi sapere perché ci siamo lasciati?
Queste parole si aprirono un varco attraverso i cumuli di pensieri disordinati che occupavano la mente dell’uomo e raggiunsero l’obiettivo. Si scrollò dal suo isolamento, sollevò lo sguardo e guardò il viso ovale della donna compostamente seduta di fronte a lui. Non sapeva cosa dire. Bruciava dalla voglia di sapere i particolari, il perché, il come, e nello stesso tempo affioravano come macchie di burro nella cioccolata le domande di tanto tempo fa, altri perché, altri come.
Non avrebbe mai immaginato che le ferite fossero ancora così sensibili. Per quell’uomo aveva interrotto il rapporto con lui, l’aveva eliminato dalla sua vita, l’aveva quasi costretto ad andarsene in un’altra città ed ora, ora che era troppo tardi per tutto, basta, non c’era più, era sparito. Era uno scherzo, una beffa crudele.
– Non è troppo tardi.
Le parole della donna lo lasciarono allibito.
– No, non ti leggo nel pensiero, non preoccuparti, anche se vedo che ci ho azzeccato in pieno. E’ solo che sei così prevedibile, quando pensi di avere subito un torto, che è piuttosto facile indovinare quello che ti passa per la testa. Si, ci siamo lasciati, oramai era diventato impossibile continuare. Due estranei, olio e acqua senza più possibilità di trasformarsi in qualche cosa di omogeneo. Lui, poi, negli ultimi anni si era appiattito in una vita casalinga da ultraottantenne, dando per scontato tutto: il mio amore, la mia fedeltà, la mia dedizione. Non ce l’ho fatta e me ne sono andata. Ed è stata dura. A chi mi chiedeva il perché, non sapevo cosa rispondere, a modo suo mi amava, non avevo torti da rinfacciare, sberle da far scontare, niente. Solo abissi di solitudine, deserto dell’anima. E il deserto lo devi vivere, non lo puoi raccontare.
– E allora hai pensato di scrivermi.
La donna sollevò di scatto la testa come fosse stata colpita da una scudisciata, le labbra divennero due linee pallide, le mani si strinsero intorno a1la borsetta come se dovessero fondersi con essa, le nocche sbiancate risaltarono sullo sfondo nero del cuoio.
– Cinque anni sono passati, cinque anni – la voce trattenuta della donna rimbombò come un urlo lacerante nella mente dell’uomo – e se pensi che io cambi gli uomini così, fuori uno dentro l’altro, ti sbagli di grosso, oh se ti sbagli. E poi, non sono venuta qui per farmi dare della puttana.
La donna si alzò, urtò la sedia del vicino che la guardò seccato, cercò di districarsi tra i tavolini affollati del1’ora di punta, si girò a guardare l’uomo. Un’ondata di tenerezza la investì quando vide luccicare due lacrime dagli occhi di quell’uomo ancora piacente che ora dimostrava improvvisamente tutti i suoi anni.
– Vent’anni non sono passati, le ferite sono aperte, non l’avrei mai creduto. Mi ero immaginato un incontro tra vecchi amici, tanto affetto, qualche battuta, un po’ di ricordi. Non avrei mai pensato di scatenare una tempesta. Scusami, se puoi.
– Scusami tu – rispose la donna – dopotutto ti ho coinvolto io in questa faccenda. Non avrei dovuto scriverti, ecco tutto. E dire che c’ho messo un anno, prima di prendere la penna in mano.
– Ma tu, cosa t’aspettavi?
– Non so. E’ che dopo il primo momento di euforia, quando finalmente sono rimasta sola, mi sono ritrovata di nuovo nel deserto. Ero diventata una preda per gli uomini, in famiglia mi guardavano male, gli amici si erano schierati dalla parte di mio marito, la vittima. Ero diventata quasi un mostro. E allora ho capito. Ho capito di aver sacrificato alle istituzioni i sentimenti, alle convenzioni la spontaneità. E ho pensato di ricominciare da capo. Ma dovevo prima ritrovare il punto in cui si era rotto qualcosa, il bivio in cui avevo preso una strada invece di un’altra. E comunque la girassi, quel punto eri tu, quel bivio eri tu. Solo allora ti ho scritto.
Le luci della città pian piano si accesero. Il traffico, indifferente, continuava a scorrere infinito. La gente camminava avanti e indietro, si salutava, litigava, spendeva, moriva.
Intanto, ad un tavolino del bar Marocco, nell’indifferenza generale, la mano esitante di un uomo qualunque accarezzò con dolcezza le dita affusolate di una donna qualunque.
Ed ambedue provarono a sorridere.