Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Quinta edizione – 2003
Andrea Rossi
Invidia
Giornale radio flash della sera
„La città ha assistito impietrita e partecipe, e con essa la nazione intera. Un’unica, ininterrotta, infinita teoria di persone è venuta oggi a rendere spontaneo omaggio alla salma del presidente, composta nella camera ardente dell’elegante ed imponente palazzo di famiglia. Gente semplice si è mescolata alle numerose personalità che non sono volute mancare. Nella camera ardente si sono visti avvicendarsi i famigliari ed i parenti più stretti. Le pubbliche esequie sono state fissate per la giornata di domani, che si annuncia coperta e piovosa.“
Il giorno dopo
Ore 3.45 p.m.
„Lei lo sa perché l’hanno portata qui, non è vero?’
„Certo che lo so.“
„E sa anche che, con quello che ha fatto, passerà un grosso guaio?“
„Ne sono perfettamente consapevole.“
„Vogliamo cominciare allora? Magari spiegandomi come ha fatto. Come accidenti ha fatto a mettere sottosopra una città intera, a rovinare una cerimonia di una tale importanza, con tutte quelle autorità, con quell’enorme servizio di sicurezza, con la diretta televisiva. Come diavolo ha fatto?“
„E’ sicuro, commissario, che questa sia la domanda giusta?“
Ore 10.00 a.m.
Da dove si trova può vedere soltanto il cielo, tutto il cielo.
Comodamente sdraiato tra cupi velluti rosso porpora, può vedere ancora una volta il cielo e con esso, questa volta, anche gli ultimi piani dei palazzi della sua città. C’è gente fin lassù oggi, affacciata alle finestre, gente che quasi si sporge e che lo guarda passare. Se lo additano in silenzio, salutano con brevi cenni e qualche applauso.
„Certo che almeno oggi il tempo poteva anche essere diverso! Almeno una volta, dico, almeno questa volta! Ma niente: uno schifo di tempo. „
E’ vero: un cielo uniformemente grigio scende pesante dai tetti fin dentro le strade; pioviggina appena e le gocce picchiettano solitarie anche sul suo viso, senza un ritmo preciso. Aveva sperato nel sole, nei riflessi dorati delle cromature del carro su cui ora si trova, nei bagliori diffusi delle mostrine e dei pennoni. Ora, invece, gli tocca notare con un certo fastidio che è solo il lastricato bagnato della strada a riverberare la luce scarsa e livida di questa pallida mattinata.
Ore 10.09 a.m.
Procedono lentamente lungo il corso principale; lui, sul carro, sobbalza per ognuna delle scanalature che divide le une dalle altre le grandi lastre di pietra del manto stradale e ondeggia quando le ruote s’infìlano nei solchi delle rotaie del tram.
„Per dio, facessero un po’ d’attenzione per lo meno.“
Vorrebbe proprio poterlo gridare, ma non può. Può solo pensarlo tuttavia, irrigidendo i muscoli per non perdere la sua studiata compostezza.
Il corteo procede comunque sicuro tra due argini di folla. Dalla posizione in cui si trova intravede cupole nere di ombrelli, cappelli scuri, soltanto qualche volto, anch’esso scuro. Intuisce transenne e intanto gli pare di soffocare tra il profumo intenso dei fiori che lo circondano.
Passi affrettati, cigolii, battimani trattenuti, motori soffocati e brusii: tutto ciò è racchiuso in un’atmosfera ovattata di spesso silenzio, dentro al quale ogni più piccolo rumore possiede per lui un’eco specialissima e riconoscibile. Quel silenzio gli pesa, e non poco.
„Che ci vuole ad applaudire, a gridare qualcosa?! Vorrei potervi sgranare gli occhi addosso, ma proprio non posso; almeno potessi sentirvi! Più calore, più partecipazione, accidenti! Ma già, dovevo ricordarmelo, questa città è così. Come dicono? Riservata, sì, riservata e composta. La prossima volta vedrò di sfruttare un’occasione diversa, qualcosa di veramente trascinante!“
Ore 3.47 p.m.
„Cos’è adesso questa storia della domanda giusta e sbagliata? Le ricordo che questo è un interrogatorio e che le domande spetta a me farle e che scelgo io quelle da farsi e da non farsi e anche quando farle, pensi un po’ …non peggiori la sua situazione e si limiti a rispondere!“
„Gelosia, denaro, potere, odio….parlo di moventi. Non le interessano i moventi, commissario? Non le interessa aggiungerne un altro alla sua lista?“
Ore 10.26 a.m.
L’inizio della cerimonia è fissato per le 10.30 e tutto procede secondo i tempi stabiliti. Infatti, ora il carro si ferma dinanzi al sagrato, esattamente ai piedi della monumentale scalinata che sale all’ingresso della cattedrale. E’ il segnale perché si sciolgano le campane: il loro suono rimbalza tra cielo ed asfalto e rompe il silenzio.
Più sotto lui vacilla pericolosamente nell’ultimo trasporto che lo porterà all’interno del tempio. La tensione gli dilata gli occhi e con un morso serra le labbra, ma finalmente, da una posizione più bassa ed inclinata, riesce a vedere molto di più di ciò che lo circonda. Rapidi movimenti dello sguardo: è tutto quello che può fare per godere del panorama che gli si è aperto dinanzi, per rubare a quel panorama frammenti che poi ricompone freneticamente.
„Eccovi dunque, eccovi tutti. Ora finalmente vi vedo. Ah, addirittura il picchetto d’onore schierato! Aviazione o marina? Soltanto fanteria: piccoli, stupidi pedoni inzuppati nei loro mantelli bruni. Ma chi ce li ha portati? E le autorità? Beh, almeno loro mi pare ci siano tutte.“
Lo precedono, tanto che non li può scorgere, tutti i suoi numerosissimi famigliari. Un drappello compatto dai tratti comuni che sale la gradinata a ranghi serrati e a passi lenti e che altrettanto lentamente viene inghiottito dall’enorme portale, spalancato sul ventre buio della cattedrale.
Ore 10.29 a.m.
Tutti sono impeccabilmente vestiti per l’occasione, come lui del resto. Tutti lo cercano con gli occhi, tutti voltano il capo al suo passaggio e vorrebbero salutarlo, compostamente s’intende, mandargli comunque un cenno di saluto, fargli sapere, come ancora si potesse, che anche loro sono lì, che non li dimenticasse.
Lui ricambia con l’immobilità e l’impassibilità che si addice al momento ed al ruolo.
„Ci siete proprio tutti; certo non potevate mancare questa volta, non è vero?! Non questa volta, non per l’ultima recita, non quando il palcoscenico è così ampio. Ebbene, neanch’io potevo mancare e ho conquistato per me il posto migliore!“
Lui li vede e li sfiora, percorrendo il lucido corridoio centrale immerso nella livida luce naturale di quell’umido mattino; una povera luce quella che filtra dalle vetrate e dai lucernari, ma squarciata a dovere dai tagli sapienti di potenti riflettori, ben posizionati per la ripresa in diretta del1’evento. Nota i loro piccoli gesti trattenuti, il loro agitarsi ed affannarsi a comparire, mentre lui mantiene la sua imperturbabile ed apparente immobilità e con essa conquista definitivamente il centro della scena: quale migliore riconoscimento alla sua posizione!
Improvvisamente si alza una musica.
„Non male la scelta del brano, mi pare di effetto. Di queste cose non mi intendo molto. In effetti, ho lasciato fare tutto a loro: musica, arredi, inviti, tempi della cerimonia. Del resto non avevo altra scelta; ma il risultato, devo riconoscerlo, non è male, non è male davvero. E comunque da qui posso godermi tutto.“
Ore 10.40 a.m.
Ora scende di nuovo il silenzio e riempie, per un lungo momento, ogni spazio di quel luogo affollato. Ha tutto il tempo per guardarsi attorno, mentre accanto a lui si danno da fare per portare a termine le ultime incombenze. Qualche brusio di sottofondo: ordini, commenti, saluti. Semplici sguardi d’intesa. E’ lui in ogni modo il centro di tutto ciò: consapevolmente, volutamente oggetto di tanta attenzione. Mentre qualcuno nel frattempo comincia a parlare di lui, mentre si leggono parole che tutti ascoltano e qualcun altro si muove secondo un rituale antico e conosciuto, lui, con tutta calma, ispeziona volti e figure.
„Eleganti, sì, proprio eleganti. Tutti eleganti quest’oggi! Comunque un po’ più di compostezza non guasterebbe. Un po’ di stile! Signor sindaco, stia un po’ più diritto con quelle spalle e non ondeggi in continuazione! E la first lady …che cerca nella borsetta con tanto affanno? E quello, quello non è il ministro? E’ lui, no? Grattarsi l’orecchio con quell’insistenza….via, un po’ di contegno. Vi vedo, attenti che vi vedo. Vi spio, senza che voi lo sappiate e non dimentico nulla. Non ho mai dimenticato nulla di voi e di quelli come voi. Vi ho impressi nella mente, signori miei, quella mente che qualcuno mi disse malata.“
Ore 3.47 p.m.
„Lei viene a parlare a me di moventi? Vuole che la porti giù negli archivi del commissariato e le mostri la bella varietà dei delitti e dei moventi? E poi smettiamola, si tolga quell’aria saccente dalla faccia e cominci a rispondere alle domande. Quando è arrivato in città?“
„Che importa ora…importa che io ero esattamente lì dove volevo essere, commissario. Al centro della scena. Questo era ciò che avevo sperato, sognato. No, meglio, covato: essere la sostanza di un’enorme attenzione, essere il motivo unico e solo di quella presenza, di quella devozione, di quella smania di apparire. E sguazzarci dentro con il massimo godimento.
Ore 10.57 a.m.
Una mano trattiene; l’altra, quella più piccola, strattona e cerca di divincolarsi. E’ da qualche minuto che è in atto una lotta aperta a voci sommesse, una contrattazione fitta: il campo di battaglia è laggiù, nei banchi della quinta fila. Uno sguardo accigliato e fermo di occhi cattivi pare averla finalmente vinta. Ma è solo una tregua breve e del tutto temporanea. Il tempo di rifiatare e di riprendere coraggio. Un minuto più tardi, non di più, ecco, infatti, l’ultimo strappo e la piccola mano abbandona la presa, stupita dell’improvvisa facilità. Lo cercano con lo sguardo, ma il bambino è già altrove. L’imbarazzo degli adulti, e la indecisione conseguente, gli danno il tempo sufficiente per sgusciare sulla sinistra tra le persone assiepate ed in piedi.
C’è del movimento ora nella navata laterale: uomini e donne si aprono si chiudono, ondeggiano come al soffiare di un vento sotterraneo su un campo di erba alta. Un campo bruno e silenzioso, agitato da un vento piccolo e basso che spinge sulle gambe e costringe a fargli largo.
Ore 10.59 a.m.
Lui dalla sua posizione ha notato questo ondeggiamento e teme qualcosa: chiunque sia, si muove verso di lui, lo sente. Ma è solo una minaccia, per ora. Lo fermeranno, qualcuno lo fermerà. Non si interrompe impunemente una cerimonia di così alto grado e sino ad ora così ben riuscita: non lo si può concedere neppure all’innocenza di un bambino che pare andare diritto alla sua meta. D’un tratto eccolo, emerge dalla prima fila ed è già lì. E lo fissa. Lui, fra i cupi velluti di rosso porpora, fa altrettanto.
„Che fa? Che vuole?“
Non è uno scambio di sguardi: il bambino sposta la sua attenzione ora su questo, ora su quello, da un oggetto a una persona. Sembra non avere occhi sufficientemente grandi per osservare tutto, per fissare ogni movimento intorno a sé. Gli si avvicina allora un giovane chierico, sceso silenziosamente dalla scalinata dell’altare. L’attenzione di tutti intanto è sulle parole che una voce lenta e grave lancia nell’alto delle navate: è la parola di Dio che veleggia.
„Ecco bravo, prendilo e portatelo via. Io lo so, è sempre così…io li detesto i bambini, ti rubano la scena. Portalo fuori, da bravo, fallo sparire.“
Ore 11.02 a.m.
S’ingaggia un’altra scaramuccia silenziosa e compita ai pedi dell’altare. A quel bambino sembrano piacere le sfide. Si volta indietro: il volto irritato della madre appare e scompare tra visi sconosciuti, ma gli è comunque sempre più vicino. Allora guarda avanti: un candido e gigantesco mantello bianco porta diritto verso di lui il sorriso preoccupato del chierico e gli occupa ormai tutto l’orizzonte. Gli si butta addosso come dentro un mare di latte o di nebbia, per perforarlo, per cercare uno squarcio, per andare oltre e tornare a vedere. Uno scarto e le sue piccole mani scostano l’abito talare di quel tanto che basta per passare e salire rapido i pochi gradini.
„Ehi, ehi tu. ..fermalo! Punta dritto verso di me. No, eh! Non farlo arrivare fino a qui! Non adesso, non dopo tutto quello che ho fatto e quello che ancora devo godermi.“
Ore 3.50 p.m.
„Senta, se ha voglia di sfogarsi non è con me che lo deve e lo può fare. Non faccio il poliziotto per consolare i delinquenti. Finito l’interrogatorio, se vuole, le chiamo un prete o uno psichiatra o chi accidenti vuole lei e gli racconta tutto di sé. A me ora non interessa. Glielo ripeto ancora una volta: quando è arrivato in città?“
„Lei non capisce, commissario, o non vuole capire. Non ci fosse stato quello stupido incidente non sarebbe successo nessuno scandalo, nessuno si sarebbe accorto di nulla, io avrei avuto quello che volevo e non saremmo qui, né io né lei, a romperci vicendevolmente l’anima…cosa vuole che m’importi adesso di rispondere alle sue domande! Tutta colpa di quell’impiccione di un marmocchio!
Tale e quale a mio fratello. Mai che stesse fermo anche lui, sempre in giro a curiosare. E i miei che glielo lasciavano fare, sorridendo. Io no, io stavo lì, nascosto dietro le gonne di mia madre o attaccato ai pantaloni di mio padre e mi bastava un loro sguardo per sapere che non sarei mai potuto sfuggire a quella soggezione, che appena mi fossi mosso sarebbero venuti a riprendermi e a ricondurmi nell’ombra, mentre lui, l’altro, si godeva il sole di tutte attenzioni. E per lungo tempo, per troppo tempo, è stato così .
Ore 11.05 a.m.
C’è una piccola mano candida ora posata sull’orlo di velluto rosso del feretro aperto ed un’altra sta per raggiungerla. Lui, da dentro, vede le minuscole dita oltrepassare il bordo, cercare una presa meno incerta e nota le falangi stringersi così forte al tessuto tanta da sbiancare. Il velario sottile e trasparente che lo ricopre si tende.
„Cristo! Fate qualcosa, portatelo via!“
E’ l’unica cosa che riesce a pensare e l’altra, subito dopo, è quella di serrare le palpebre degli occhi e di restare immobile, ancor più di quanto lo sia stato fino a quel momento. Non c’è più musica, non c’è più parola che egli senta intorno a sé. Con ogni parte del suo corpo è comunque in ascolto e percepisce chiaramente l’avvento della tragedia. Che cosa può mai fare un bambino curioso, scampato alla caccia degli adulti, se non andare fino in fondo alla sua curiosità? Il velo se ne viene via in un attimo e trascina con sé una parte dei fiori. C’ è del trambusto ora lì intorno, ma le voci restano soffocate.
La bara ondeggia paurosamente, sembra scossa da un colpo, squassata, come una nave che abbia cozzato contro uno scoglio; lui, istintivamente, spalanca gli occhi terrorizzato. Una voce acuta di bimbo sovrasta lo scompiglio ed ogni brusio: „E’ vivo, mamma, il signore della scatola è vivo!“
Ore 3.54 p.m.
„Se crede che io abbia del tempo per ascoltare i suoi ricordi famigliari si sbaglia di grosso. Là fuori, se non bastassero i miei superiori, mi aspetta una conferenza stampa di quelle che neanche suo fratello il presidente si è mai sognato!“
„Dice davvero? Più che per mio fratello?“
„Sì, ma non creda che io la porti con me. Se lo scordi. Ora lei invece mi racconta tutto per filo e per segno, poi io la faccio accompagnare nella stanza di là, le diamo quello che vuole, da bere, da mangiare, se vuole può anche fumare, ed io vado a raccontare tutto a quegli affamati dei giornalisti. Allora, cominciamo a vuotare il sacco?“
„Lei si ostina a non capire, commissario. Sparito per trent’anni: a questo mi ero costretto pur di non vivere nell’ombra di uno nato con me, con la mia stessa faccia, vestito uguale a me, ma così diverso. E così diversamente accolto! Guardavo lui e guardavo me: un solo volto, un solo corpo, come si dice…due gocce d’acqua. Guardavo allora mia madre e dai suoi sguardi per noi riconoscevo la nostra diversità. Come avrei potuto ingannarla? Come avrei potuto sostituirmi a lui? No, non sarebbe mai stato possibile. Quando lo compresi lasciai tutto e tutti. Ma questa commissario, ci avrei giurato, mi era sembrata proprio un’ottima occasione, l’ultima del resto per uscire dall’ombra, per godere della luce, e di che luce!, per smetterla con questa malattia che mi consuma da sempre: la sua fine avrebbe segnato il mio nuovo inizio.
Ma perché le madri non si tengono accanto i figli? …basterebbe uno sguardo.