Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Quinta edizione – 2003
Alberto Di Santo
Gli Horowitz
„Quale figlio ucciderebbe mai i propri genitori se non per futili motivi?“
dall’intervista a Elias Horowitz, Washington Post, 6-11-‘86
I coniugi Horowitz di Manhattan, Matheus e Olga Horowitz, altri non sono che mio padre e mia madre. E’ quindi scontato che io sia quell’Elias Horowitz, loro unico figlio, di cui tanto si è scritto sui giornali delle ultime settimane. Fin qui tutto chiaro, mi pare. Le cose si complicano quando si passa al compito assegnatomi dalla dottoressa Barbara Scott, e cioè raccontare cinque episodi (perché proprio cinque?) della loro vita coniugale….
1° RICORDO
Certamente non dimenticherò quella volta in cui mamma mi accolse sulla porta di casa con il volto raggiante. Non avevo ancora superato l’ingresso che ella si fermò, inducendomi a fare altrettanto.
– Tuo padre e io ci siamo separati.
Immediatamente mi chiesi il perché di quel „tuo padre e io“. Metà di quella frase, mi sembrò, annunciava una comunione d’intenti, l’altra infrangeva ogni speranza.
Entrato in casa per avere conferma dell’assenza di mio padre, lo trovai in cucina intento a trafficare (al contrario di quanto avveniva normalmente) intorno ai fornelli.
– Ciao, (sorrisone) bentornato.
– Ciao – risposi.
A tavola mi spiegarono il perché di quella decisione: il rapporto, sfibrato dai continui litigi, rischiava di diventare distruttivo. Annuii, visto che quello era stato uno dei motivi che mi avevano allontanato da casa. Presto, mi dissero, mio padre se ne sarebbe andato.
Tornato nel mio appartamento di Brooklyn tentai di procurarmi un pianto liberatorio che non giunse. Continuavo a pensare che per la prima volta dopo anni avevamo cenato in gioioso accordo: mio padre e mia madre non solo lontani da polemiche di ogni tipo, ma alternandosi nelle risposte alle mie domande in perfetta armonia.
2° RICORDO
Prima di tornare alla fantomatica separazione degli Horowitz, abilmente protratta nel tempo, vorrei riportare alla mente un aneddoto che li riguarda.
Sono a cena da loro e con me c’è Cindy. Mia madre fa:
– Guarda, Matheus, è l’amica di Elias, te la ricordi?
Quel che temevo: gli Horowitz stanno per dare spettacolo. Cindy lavora in un supermarket di Houston e, a quanto mi risulta, è la prima volta che viene a New York. Con l’orgogliosa consapevolezza dell’individuo sano di mente all’interno di un manicomio, la ragazza si limita a fissare mia madre.
– Ma dai, non dirmi che non la riconosci…
Papà è interdetto. Mamma insiste:
– L’abbiamo incontrata qualche anno fa, in….
Mio padre sembra fare uno sforzo.
– Sembrava si mettesse a piovere e tu hai detto chi se ne importa.
Matheus scuote la testa.
– Io avevo le scarpe nuove che mi facevano male, ti ho detto di fermarti.
– Le scarpe… quelle marroni, con la fibbia – fa tutto a un tratto mio padre.
– E bravo… e questa ragazza ci ha offerto l’ombrello.
Io e Cindy ci guardiamo, sempre più preoccupati.
– Un ombrello rosso e bianco – fa papà con il timbro profetico di una Pizia col timer all’indietro – sembrava una bella giornata.
– Allora ricordi? – chiede mia madre finalmente soddisfatta,
– Sì – risponde infine lui spiazzando tutti – ricordo benissimo questa ragazza, ma… ma tu non c’eri…
3° RICORDO
Quando telefonai per sapere come andassero le cose e dove fosse andato ad abitare papà, fu proprio lui a rispondermi, attaccando un pistolotto su quanto stessero meglio e come fosse cambiata la loro vita da quando avevano deciso di non stare più insieme. Naturalmente aggiunse che non aveva ancora trovato dove trasferirsi e questo me lo ripeté fino alla nausea….
4° RICORDO
Gli Horowitz (cara dottoressa Scott…) difficilmente si comportano come tutte le altre rispettabili coppie ebraiche di Manhattan. Una vena di follia sembra l’ingrediente preferito dell’Horowitz-pensiero. A questo proposito vorrei ricordare la teoria di mia madre sulle cause dell’antisemitismo. Ogni ebreo originale ha la sua ipotesi. Ben lungi, naturalmente, dal giustificarli, Olga Horowitz era solita raccontare che i gentili se ne stavano bellamente inconsapevoli di tutto a pregare degli idoli di pietra quando arrivammo noi ebrei, fornendo loro cinque uomini dalla mente acuta.
A questo punto, di fronte a un uditorio più circospetto che altro, mamma si esprimeva in questi termini:
– Il primo, ci tengo a ricordarlo, ha detto loro di calmarsi, posare le armi e cominciare ad amare un po’ di più gli altri (Gesù), il secondo li ha minacciati, ricordando che tutti hanno il diritto di mangiare (Marx), il terzo ha aperto delle voragini nelle loro coscienze (Freud), il quarto ha dimostrato che il mondo è destinato a scomparire in una dispersione ineluttabile di energia (Einstein), il quinto (se ce ne fosse bisogno di rammentarlo) che è meglio astenersi dal parlare a vanvera (Wittgenstein).
Mamma diceva inoltre che noi ebrei abbiamo la fortuna di avere, a differenza dei gentili, qualche anticorpo in più e che, almeno in un paio di casi, ci siamo limitati a esportare (così disse) il pensiero di quei saggi uomini.
Riguardo al senso di appartenenza di mio padre al nostro popolo, dirò subito che non ne aveva. L’unica volta che gli sentii pronunciare con commozione la parola „ebreo“ fu durante una viaggio in Israele. In quei sette giorni di ritorno alle origini, Matheus Horowitz, con aria beata e uso costante dell’aggettivo „incredibile“, non fece che meravigliarsi che tutti, in strada, nelle case, all’interno dei negozi, fossero ebrei esattamente come lui.
5° RICORDO
Negli ultimi tempi i miei genitori mi rivelarono di aver smesso di litigare, segno inequivocabile (aggiunsero) che il matrimonio stava minando il loro rapporto. Per rafforzare l’illogica causalità, mamma mi disse:
– Pensa, non devo più sparecchiare la tavola, se ne occupa sempre lui.
Una frase che mi lasciò da pensare: non riesco a ricordare mio padre intento prima d’allora in quell’attività.
Come se non bastasse mamma decise di spingersi nei territori interdetti da tabù. Ammiccando e alludendo, e nonostante la mia evidente ostilità, mi rivelò che loro…
– Tuo padre e io… (ancora tuo padre e io?) da un po’ di tempo…, oh, ma non è incredibile?
Mentre tornavo a casa ripensai all’intera vicenda. Era illogica e inspiegabile. Poi, però, (e forse perché conosco assai bene i personaggi) la sua apparente paradossalità fu giustificata dalla considerazione che agli Horowitz, molto semplicemente, basta pronunciare poche parole perché il mondo non appaia più quello che sembra.
Ora stop, basta. Non mi viene altro in mente e del resto mi sembra di aver esaurito il compito. Ecco che arriva l’esimia dottoressa Scott per leggere quanto ho scritto. Non comprendo affatto (se mi è concesso dirlo) l’interesse a recuperare il movente di un duplice omicidio. E poi, del resto, cosa cambierebbe? Olga e Matheus non torneranno certo in vita. Anzi, oltre al loro ingrato figlio, cosa rimarrà degli Horowitz se non questi pochi ricordi conservati nel penitenziario dello Stato di New York?