Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Settima edizione – 2007
Paolo Pergolari
Nonna Enofe
Il diavolo mi stava aspettando giù, sotto casa, proprio all’angolo della strada e quando mi vide sbuffò battendo il ditino sull’orologio legato al gilet con la catena d’argento. Avrei voluto dire mi scusi, sa, il traffico… ma che senso poteva avere una frase del genere: ormai ero già morto, perciò cosa avrei dovuto fare di tanto urgente da giustificare il mio ritardo?, e poi tutti e due eravamo consapevoli che non saremmo mancati all’appuntamento, che avrei rispettato il contratto, perché io sono sempre stato una persona tutta d’un pezzo e non ho che una parola: quella data! Vengo da una famiglia dove la “Cavalleria” è di casa, il mio bisnonno era l’attendente del Generale Armando Diaz, quello che nel ’18 tirò il collo all’aquila austriaca, tanto per intenderci, e per noi l’onore vale ancora qualcosa, non è come la neve al primo sole primaverile… No no, non mi dite niente… Com’è possibile che una persona come me, con una certa cultura, c’è caduta come un pivellino alle prime armi?, eppure le cose sono andate proprio così, ancora una volta e da che mondo è mondo… D’altronde c’è incappato anche il dottor Giovanni Faust che non era uomo da poco, e poi lui, il diavolo, mi si è presentato con l’aria più innocente del mondo, a parte alcuni sorrisetti maliziosi che lì per lì non riuscivo a spiegarmi… insomma il solito venditore porta a porta. D’accordo!, chi è che non avrebbe diffidato, però non so nemmeno io perché ho provato pietà per quell’exangioletto, forse per quello che poteva avere e in realtà non ha avuto, e poi attenzione!, le disgrazie stanno sempre dietro l’angolo e ci possono inciampare tutti, e lui sembrava che non avesse mangiato da una settimana e io, invece, m’ero alzato dalla tavola proprio in quel momento, avevo ancora il gusto della bistecca tra i denti, e lui mi spiegava con convinzione i sorprendenti benefici di una polizza sulla morte, soprattutto in caso di premorienza, fatto sta che ho firmato il “contrattino”, come lo chiamava lui… Però una clausola l’ho voluta aggiungere altrimenti non se ne parlava neppure, e quella clausola da me esplicitamente voluta stabiliva che sarei stato io a scegliere il giorno in cui morire, tutto sommato mi sembrava un buon affare, e me ne sono ritornato a tavola quasi soddisfatto. Senonché non era passata nemmeno una settimana che ecco subito la lettera, puntuale come… vorrei dire la morte, ma non mi sembra il caso date le circostanze… sicché la Ditta si congratulava per la mia ottima scelta e aggiungeva… “In relazione al contratto da lei sottoscritto si prega la S.V. ILL.MA di comunicare, con cortese urgenza, la data scelta per il trapasso…” o pressappoco.
Non mi restò che comperare un calendario nuovo di zecca, sedermi e, con tanta santa pazienza, soppesare bene la situazione: per nessuna ragione al mondo avrei voluto rovinare progetti e programmi ad amici, parenti o conoscenti vari. Cancellai dapprima le feste principali, la Pasqua, il Natale, il primo e l’ultimo dell’anno, il giorno del Patrono, le feste infrasettimanali così come le domeniche e i sabati, perché pensai a Giorgio che per i weekend va sempre in quella sua casetta di campagna con “l’amichetta”, poi esclusi il 1° settembre giorno di apertura della caccia alla palomba e al piccione selvatico e il 15 di marzo chiusura della pesca alla trota salmonata, quindi depennai l’8 d’agosto per quell’impegno che m’ero preso con zia Natalina di accompagnarla al Santuario di Santa Rita da Cascia, e il 10 settembre perché dovevo portare Rex, il nostro dobermann, alla vaccinazione antirabbica, e poi pensai a mia moglie, ma soprattutto alla sua mania di festeggiare le ricorrenze, così il nostro primo incontro, il primo bacio, il matrimonio, san Valentino, il primo bisticcio… e a me riservai il 18 gennaio per l’ultima partita a tennis con Giorgio, con l’occasione annotai: prenotare il campo, in stampatello e bello grosso…
Sicché tra impegni, feste e quant’altro, avevo segnato tutto il calendario, non m’era rimasta che una riga bianca, un giorno, solo soletto, innocente e timido come un ciclamino in mezzo al bosco. Soppesai un po’ e poi decisi che mi andava a pennello, che il 29 febbraio poteva essere un buon giorno per morire, e risposi alla Ditta che dopo attenta, paziente e scrupolosa disamina, avevo individuato il giorno giusto.
Ma ahimè solo dopo qualche settimana mi fu chiaro l’imbroglio del commesso viaggiatore, di quel diavolo, perché io avevo sempre pensato che il mio decesso sarebbe dovuto avvenire l’anno successivo e non lo stesso anno di stipula del contratto… “E’ tutto scritto qua nero su bianco, non ci sono ragioni valide per impugnare l’atto…” Così almeno mi disse il mio avvocato, e poiché l’anno corrente non era bisestile, la Ditta aveva pensato ad un mero errore materiale, cioè ad una distrazione dattilografica e, d’ufficio, aveva anticipato tutto di un giorno, sicché ineluttabilmente “me ne andai” alle tre del pomeriggio del 28 febbraio, proprio il giorno del compleanno di nonna Enofe. Ne rimasi molto rammaricato…
Nonna Enofe aveva la veneranda età di ottant’anni e ovviamente qualche acciacchino doveva avercelo pure lei, per questo la mia morte mi dispiacque, perché nonna non godendo di ottima salute certamente non avrebbe avuto ancora molte occasioni per festeggiare senza nessun patema il suo compleanno, e gliel’avrei voluto dire che non l’avevo fatto di proposito, che non era dipeso da me…
Comunque, sono morto tra lo sbigottimento e l’incredulità generale. No, non posso crederci, dicevano e molti, come tanti san Tommaso, si sono precipitati in casa per sincerarsi e, intanto, mia moglie ripeteva ad ognuno… “Non è bello?, Pare che dorme?, Come farò senza di lui?”, e l’altra zia, zia Lisetta che da appena una settimana aveva perso il figlio con la nuora e i nipoti in un pauroso incidente stradale, non faceva che consolarla, l’accarezzava e le sussurrava… “Vedrai che ci farai l’abitudine… Tutto passa…” e poi all’improvviso zia Lisetta scappò da casa come se improvvisamente si fosse ricordata dell’arrosto nel forno acceso, e dal giardino si sentirono delle urla orribili, delle grida tanto strazianti da far venire i brividi.
“Come farò senza di lui?”, così diceva mia moglie e tutti giù a bisbigliare e a muoversi piano cercando di non fare il più piccolo rumore, ma nonostante gli occhi chiusi vedevo benissimo che cercavano di sapere, l’uno con l’altro, la causa della mia morte, già nella stanza volava il primo pettegolezzo, chi dava la colpa al cuore e chi alla mia vita sregolata, tutti mentalmente decisero che l’indomani sarebbero passati dal medico per una controllatina alle coronarie. Ed erano davvero buffi nel loro modo di comportarsi, ma io ero più buffo di loro, stavo in mezzo ad una serra e mi avevano sistemato nella bara con la barba appena fatta, in doppio petto nero, camicia bianca e cravatta scura, e senza scarpe… Morire senza scarpe è proprio una gran fesseria, e poi avevo le mutande che mi tiravano un po’ di cavallo, gliel’avevo detto mille volte a mia moglie di buttarle via quelle mutande, e lei ad insistere… “Macché, è un peccato…” Così l’aveva sempre conservate e adesso aveva scoperto che erano le uniche, nuove, che m’erano rimaste…
Anche nonna Enofe arrivò subito per farmi visita, dette un paio di soffi alla sua torta illuminata da ottanta candeline, fece le porzioni per i suoi figlioli, quei dieci gatti randagi che bazzicavano in casa sua, prese l’ombrellino e corse da me. Appena arrivata abbracciò mia moglie, mi lanciò di sfuggita un’occhiataccia, sì, uno sguardo che aveva tutta l’aria d’un rimbrotto, borbottò qualcosa a mani giunte, poi infilò la porta e se ne andò in cucina con la stessa velocità con cui era arrivata. Qui pretendeva di dover fare qualcosa a tutti i costi e anche lei non se l’aspettava quella mia morte improvvisa, raccontava senza posa come le era riuscita bene la sua torta di compleanno, per quanto non se l’aspettava…
In chiesa c’era un prete mai visto né conosciuto, eppure parlava di me come di un cristiano dedito completamente alla famiglia, di un amico disponibile e leale, addirittura di un cittadino onesto ed esemplare… O stava sbagliando persona, oppure era convinto che la morte fa diventare tutti galantuomini; non credo che con quella faccia rubiconda, violacea e avvinazzata, e con quegli occhiali con due lenti spesse come fondi di bicchiere, volesse prendersi gioco di me e di tutti quelli che lo stavano ascoltando impassibili e in profondo silenzio… sarebbe stato proprio un bel dritto quel prete… Oddio, la fronte alta da intelligente per avercela, ce l’aveva, bah! Comunque, al cimitero, quando stavo per essere calato nella fossa, il centro dell’attenzione era mia moglie, aveva tutti gli occhi addosso e quegli occhi le chiedevano… “Adesso cosa farai?, piangerai?, griderai, ti strapperai i capelli o non dirai nemmeno una parola?…” Anch’io ero sulle spine, non mi andava di fare una brutta figura e speravo tanto che mia moglie non li deludesse rovinandomi così quel mio funerale che, tutto sommato, era ben riuscito… per fortuna mia moglie, come si dice, tagliò la testa al toro e svenne… Così sono finito sotto terra per quel diavolo di commesso viaggiatore, e tutti sono ritornati alle occupazioni di sempre, cioè a fornicare, lamentarsi, malignare, arraffare, imbrogliare, prima il prossimo e poi se stessi, e questo in attesa che venga un altro prete a dirgli in un orecchietto quanto erano buoni, onesti e leali… Irreparabile!
Mia moglie trovò presto un nuovo marito, d’altronde l’aveva già detto alla mia morte… “Chi mi consolerà?…” E la vedevo chiacchierare con Giorgio sul divano, un mese dopo erano andati in vacanza insieme… mia moglie non s’era sbagliata, si consolò. Ma non la biasimo, capisco che la solitudine è una brutta bestia… quello che non sopportavo era il torto subito da nonna Enofe, quel suo compleanno rovinato per colpa mia. E una notte entrai nei suoi sogni e accalorato le spiegai tutte le mie ragioni, le dissi del contratto, dell’errore sull’anno, del 28 anziché del 29, ma lei anziana com’era capì un bel niente, anzi, appena sveglia passò all’ufficio postale, aspettò che aprisse e poi ritirò la sua pensione di vedova, e andò a giocarsela al lotto su quei numeri che le avevo detto… Il caso volle che uscirono tutti quanti, uno dietro l’altro a formare una bella cinquina, io stesso rimasi stupefatto, però ero contento che il destino m’aveva dato una mano a risolvere la questione con nonna Enofe e non solo…
A nonna, ormai, la vita le era cambiata da così a così e per riconoscenza pretese di dissotterrarmi e mi collocò in un posto che non era un tumulo, ma un’opera d’arte. Tanto per dire, in testa avevo un angelo d’arenaria con le braccia sollevate al cielo, commissionato direttamente ad uno scultore, e ai quattro lati luminarie perenni in ferro battuto che erano cespugli di rose, e sulla lapide mia nonna aveva voluto scalfito:
IL RICORDO DELLA SUA VIRTÙ’
RENDE MENO ACERBO IL DOLORE
PIÙ’ SOAVE IL TRIBUTO DI LACRIME
DELLA NONNA
MEMORE RICONOSCENTE
E adesso sì che ero qualcuno!, naturalmente per quei cristiani ancori vivi, per quelli che capitavano al cimitero e m’invidiavano la tomba come fosse una macchina nuova fiammante, perché i morti non ci facevano nemmeno caso, mai nessuno che m’avesse detto… “E a te dove t’hanno sotterrato?…” Macché!, loro hanno altri pensieri per la testa, loro pensano più all’anima che al corpo, comunque io incominciavo ad essere felicemente morto, anche perché gli ultimi mesi della mia vita non mi erano andati poi tanto male. Ero riuscito a raggiungere una certa popolarità grazie a quel dannato contratto che, appunto, mi aveva garantito una vita breve, ma colma di gloria, sicché avevo salvato una vecchina che traballando in mezzo alla strada aveva rischiato di finire sotto un monopattino, poi avevo vinto il torneo cittadino di bocce al Dopolavoro Ferroviario, avevo dato un sonoro 6-0, 6- 0, a Giorgio nell’ultima partita a tennis della mia carriera sportiva e anche della mia vita terrena, infine guadagnai una mancia riportando a casa della Contessa De Magistris, Monny, la sua gattina siamese tanto amata che s’era persa dietro ad un farfallone di gatto randagio… Per di più nonna Enofe andò dal Sindaco e gli propose di erigere, proprio nel bel mezzo dei giardini pubblici, un busto alla mia memoria, e il Sindaco si tolse gli occhiali, squadrò nonna dal basso in alto e venne preso da sincere risate, trovava assolutamente ridicola l’idea di un monumento alla memoria di una persona che, ad essere buoni, in vita era stata poco meno che mediocre, un esempio dantesco dell’ignavia più profonda… E nonna ribatté che m’ero riscattato negli ultimi mesi, come un vero eroe… e il Sindaco, tra le risate convulse, replicò che ero stato un cittadino un pochettino discutibile, un cittadino da dimenticare più che onorare… “Dunque non se ne parla neppure e lei, cara signora, si tolga pure dalla testa l’idea del busto”, disse il Sindaco ridendo ancora ed io valutai che tutto sommato era stato più obiettivo il prete durante la predica… Ma nonna Enofe non si dette per vinta e brandendo l’ombrellino, ricordò al primo cittadino che lei era la Presidente dell’U.N.I.T.R.E., dell’Università della III Età, che contava cinquemila iscritti e che se lo sarebbe tenuto bene in mente quel rifiuto fino al giorno delle elezioni amministrative. Sicché il signor Sindaco diventò improvvisamente serio, guardò la poltrona fine ‘700 sulla quale era seduto e l’accarezzò con gli occhi, poi pensò a quanto era faticoso fare quel mestiere di Sindaco e disse sì, dette il proprio assenso a nome e per conto di tutta la Giunta a patto che le spese non fossero a carico delle casse comunali.
I primi giorni, confesso, ero fiero di me stesso, troneggiavo lì, in mezzo a tutto quel verde, aria fine, pulita, quiete intorno, silenzio. Silenzio appena rotto dal canto di quei rompicoglioni di passeracci e merli… E io che me ne stavo con lo sguardo fisso e fiero, capelli pettinati, labbra ben disegnate e una discreta espressione. Ma il tempo passa e nessuno si ferma più, nemmeno a rivolgermi un pensierino di sfuggita, che uno che si chieda… “Ma chi era questo qui?…” Adesso i miei capelli sembrano arruffati e imbiancati dalla pioggia e dal vento, il mio sguardo si è spento e un occhio mi è rimasto chiuso per via dei licheni, e il mio aspetto fiero si è trasformato in un sorrisetto orribilmente sardonico. Un ragazzo m’ha scritto in fronte: TI AMO TANTO con un pennarello, ma non si riferiva a me, pensava alla fidanzata e nemmeno nonna Enofe può venire a trovarmi, morta per vecchiaia è stata assegnata in un’altra sede, c’incontriamo di rado e lei va sempre di fretta nonostante l’eternità che le si presenta davanti, agita l’ombrellino e scappa via dietro quei suoi impegni che ormai sono diventati solo spirituali… Gli unici a tenermi in considerazione sono quei rompicoglioni di passeracci e merli, quelle pennute valchirie inclini alla dissenteria. Hanno una mira infallibile: non sbagliano un colpo!