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  • Luigi Canale – Il treno innamorato

Letteratura per l’infanzia – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa Settima edizione 2007

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  • 1° Paolo Valente L’amicodì a Guardachestrano
  • Mara Bertamini Cilli e Paprica
  • Luigi Canale Il treno innamorato
  • Anna Maria Granato Eroi a quattro zampe
  • Ilaria Marchesi Il volo di Angelo Nove
  • Milena Mazzini Una volta ero un randagio
  • Eliana Olivotto Briciole
  • Marina Maria Jose’ Riotto Pallottolino delle Nevi
  • Domenico Tirino I tre figli del mercante
  • Carmen Valentinotti Beppo il libraio
  • Lenio Vallati L’uovo di drago
  • Silvia Zanetto I tre Pipistrelli Variopinti

Luigi Canale

Il treno innamorato

Sbuffava tutti i santi giorni, un vecchio treno a vapore, portando gente e bagagli da un paese all’altro, compiendo lo stesso tragitto per tanti anni che nemmeno lui ricordava quanti.
Quand’era giovane sferragliava a tutta velocità da una città all’altra con gran fragore e molte nuvole di vapore, che gli davano l’aria di un drago d’acciaio tutto luccicante come non se n’era mai visti. Ma gli anni passarono, e lungo le tratte da una città all’altra non lo si vide più perché fu sostituito da locomotive moderne, non più a vapore, ma elettriche. Fu assegnato ad un percorso ferroviario più breve, in provincia, con pochi vagoni, dove c’era gente semplice che non pretendeva l’ultimo treno alla moda.
Aveva fatto così tanto cammino su quella ferrata che si sentiva ormai stanco ad arrampicarsi su per quelle colline, lungo il tragitto che lo conduceva fino al paese di Non-so-come-si-chiama.
Il percorso di andata gli sembrava diventasse sempre più faticoso per via delle salite, ed egli ansimava tutto, svaporando da ogni parte. Al ritorno poi, le discese gli davano le vertigini. Malgrado ciò partiva ed arrivava sempre in perfetto orario, compiendo scrupolosamente il proprio dovere.
Seppure gli fosse diventato tanto faticoso ormai quel viaggiare, ogni giorno su e giù per le colline, il vecchio treno vaporava di gioia quando il fischio del capostazione suonava l’ora della partenza, perché sapeva che alla stazione del paese di Non-so-come-si-chiama c’era sempre chi rimaneva in attesa del suo arrivo.
Alla caffetteria di quella stazione, infatti, c’era ad attenderlo una bella macchina per il caffé espresso, sempre calda e fumante, che ogni volta, al vederlo, lo salutava vaporando tutto il locale.
Lui s’innamorò di lei a prima vista, quando tanti anni addietro, la vide per la prima volta, giovane e lucente di rame e ottone sul bianco marmo del bancone di quella caffetteria, ed ancora l’amava.
Il vecchio treno si era talmente affezionato a quella bella macchina da caffé che ristorava tanti suoi passeggeri, da restare incantato a guardarla a lungo, e amava sostare in quella stazione di provincia, ammirato nel vedere lei così abile nel fare così tanti caffé espressi.
Nell’attesa del via, tra una corsa e l’altra, riposava volentieri sui binari, che sarebbe rimasto per ore e ore in compagnia di quella vecchia cara caffettiera, che gli mandava, al di là dei vetri della sala di ristoro, calde ed aromatiche nuvolette di vapore.
Un giorno però, il treno, all’idea di partire per il paese di Non-so-come-si-chiama, era molto triste, che troppo vecchio e logoro per continuare a correre, come aveva fatto per tanti anni, sarebbe stato quello il suo ultimo viaggio. Con lui sarebbe andato in pensione anche il suo capotreno, con il quale aveva sudato tanta strada in tanti viaggi.
Fece il percorso di andata con il cuore in gola, e tutto il tempo che rimase in stazione per la sosta, prima dell’ultimo viaggio di ritorno, non staccò per un solo attimo lo sguardo dalla ancora bella e lucente caffettiera.
Quando fu dato il segnale di via con la luce verde, il treno era disperato ed usò tutti i trucchi che sapeva per non partire, ma il vecchio capotreno lo conosceva troppo bene per farsi ingannare, lo amava, pertanto capiva ciò che provava e si commosse profondamente.
Era l’imbrunire e la stazione era deserta, i pochi viaggiatori distratti erano già sul treno, la serranda della caffetteria non ancora abbassata e dentro non si vedeva anima viva. “In fondo, vecchio mio – disse il capotreno commosso – questo è l’ultimo viaggio che facciamo insieme io e te, e dopo tutto se provassi spiegarlo a chicchessia non ti capirebbe nessuno.” Detto questo entrò nella sala ristoro. La caffettiera era già spenta, le mise le braccia intorno, e con forza la sollevò dal bancone, si guardò intorno furtivo e visto nessuno, in un attimo la caricò sul treno che ebbe un sussulto di gioia.
Il capostazione fischiò la partenza, il treno dette uno strattone e partì cigolando. Dalla locomotiva si alzò alto un pennacchio bianco e le sue ruote girarono con ritrovata energia, sospingendo i vagoni uno dietro l’altro come sempre.
Fecero tutti e tre insieme il più bel viaggio della loro vita… Il tramonto mandava gli ultimi bagliori, ed un trenino allegro andava fischiando tra le colline disegnando nell’aria una lunga striscia di vapore.
Mai la caffettiera avrebbe potuto sperare di vivere una così appassionante avventura, ma andò proprio così. E da quando, dopo pochi giorni, fu riportata nel bar della stazione di Non-so-come-si-chiama, i suoi caffé risultarono a tutti molto più buoni. C’era un nuovo aroma, un nuovo profumo che rendeva molto speciale il suo espresso, così come, tra una vaporata e l’altra, era rimasto speciale in lei il ricordo della grande gioia che le aveva regalato il suo treno innamorato.


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