Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Quarta edizione – 2001
Primo premio
Lorenzo Ferrarese
Che giorno è
Che giorno è ? Ah già, è mercoledì. Oggi c’è il mercato, devo andare a fare la spesa.
Maria dorme ancora. Da quando è tornata dall’ospedale dorme molto, probabilmente deve recuperare le forze perse per l’operazione.
Vado in bagno senza fretta. Già, che fretta vuoi che abbia? Ho tutto il tempo che mi serve e poi, a ottant’anni, avrò ben il diritto di prendermela con calma.
Devo ricordarmi di comperare il caffè. Il barattolo è quasi vuoto, ma non voglio rinunciare alla tazzina quotidiana, anche se il medico me l’ha proibito. D’altro canto, è una vita che preparo il caffè e lo porto a letto a Maria. Le è sempre piaciuto svegliarsi con una tazzina di caffè sul comodino. L’ha sempre fatta sentire una signora, e dio sa quante poche volte nella sua vita ha potuto sentirsi così, presa dal figlio, dal lavoro di donna delle pulizie per quella ditta…Come si chiamava? Adesso non me lo ricordo, comunque un lavoro duro, ma i soldi non bastavano mai. E allora, perché privarla del piacere del caffè a letto, alla faccia del medico?
Intanto inizio a vestirmi, lentamente. Da quando Maria è stata in ospedale, ho dovuto imparare ad arrangiarmi da solo. Prima, ci pensava lei a farmi trovare tutto pronto: la biancheria pulita , la camicia, i calzini.
Ma ho imparato, a ottant’anni ho finalmente imparato ad aprire i cassetti e a trovare la roba che mi serve.
Maria dorme ancora. Le appoggio la tazzina sul comodino, attento a non sporcare il centrino di pizzo su cui è appoggiata la lampada.
Che giorno è? Giovedì? Ah, no, è mercoledì, giorno di mercato.
Esco piano dalla porta, per non disturbare. Il medico dell’ospedale – un bravo ragazzo, veramente – ha detto che deve riposare molto, perché alla sua età un’operazione del genere è pesante da sopportare.
Un bravo medico, non c’è che dire. Mi sarebbe piaciuto se anche Giovanni fosse diventato dottore. Ma non era tagliato per gli studi, non si applicava, anche se non era stupido, tutt’altro. Adesso fa il rappresentante in un’altra città, ma viene poco a trovarci, colpa di sua moglie. Bella donna, non si può dire niente, ma così antipatica e con la puzza sotto il naso…
A proposito di puzza, ma da dove viene questo odore? Forse ieri mi sono dimenticato di portare la spazzatura ai bidoni. Vado a controllare, ma il secchio è vuoto. Chissà, forse i vicini si sono dimenticati qualcosa fuori dal frigo, prima di partire per le ferie. Speriamo che passi.
Scendo lentamente le scale. Le gambe, ormai , non reggono più bene, e tre piani di scale sono tanti, senza ascensore.
La cassetta della posta contiene solo quei dannati volantini pubblicitari. Non li posso sopportare, sono troppo colorati e poi non servono a niente, neanche come carta da gabinetto, come si usava quando ero piccolo che non si buttava via niente. Mi sembra proprio uno spreco di carta, visto che tutti li buttano via senza neanche leggerli.
Mah, che mondo. Forse sono troppo vecchio per capirlo, non so, ma c’è qualcosa che non mi quadra. Ne ho parlato anche con Maria, che come sempre ha sorriso e mi ha detto che sono il solito polemico a cui non va mai bene niente.
Sono uscito sul marciapiede. Cosa devo fare? Ah si, il mercato.
Non è lontana la via dove si allineano le bancarelle. Passo davanti all’edicola e compro il giornale. Me lo metto in tasca. E’ una vecchia abitudine quella di comprare il giornale, anche se faccio fatica a leggerlo. Ma ho tempo, tutto il giorno, e poi mi piace sapere cosa succede nella mia città. C’è meno gente del solito. Strano, perché quando è giorno di mercato la strada brulica di massaie che vanno a fare la spesa e i parcheggi sono occupati dai camioncini dei commercianti.
Giro l’angolo e vedo che la via è vuota. Nessuna bancarella, nessun camioncino. Forse c’è uno sciopero dei venditori ambulanti. Questa non l’avevo mai sentita prima, ma il mondo ormai chi lo capisce più?
La giornata è calda, si sta bene. Vado nel parco del quartiere a leggere il giornale. La spesa la farò dopo, al supermercato. Tanto, non devo comprare molto, ormai io e Maria mangiamo come uccellini, anche se lei dovrebbe sforzarsi di più, dopo l’operazione è dimagrita tantissimo, i vestiti le ballano addosso.
La mia solita panchina è occupata, ma non devo arrabbiarmi, dopotutto il parco è di tutti, anche se un po’ di rispetto non guasterebbe. Mi siedo vicino alla fontanella, il sole tra un po’ arriverà anche qui.
Che giorno è? Mercoledì, è mercoledì di sicuro.
Apro il giornale e inizio a leggere. Prima di tutto vado a vedere i morti. Ho conosciuto un sacco di gente nella mia vita, anche se adesso non vedo più nessuno, e mi va di andare ai loro funerali, quando muoiono, perché mi piacerebbe che loro venissero al mio. Ogni tanto me l’immagino, il mio funerale. Un lungo corteo di gente, tanta, perché dopo una vita di lavoro me lo merito, le belle parole del prete, le lacrime di Maria. Perché sicuramente morirò prima di Maria, non ho mai pensato che potesse morire prima lei, io cosa farei, da solo? E poi, anche le statistiche dicono che le donne vivono più degli uomini, e allora, perché per noi due dovrebbe essere diverso? Maria che piange, Giovanni vestito di scuro – che bel ragazzo che è , anzi , uomo, la sua età ce l’ha anche lui adesso, anche se lo vedo sempre piccolo che corre in cortile con la bicicletta che gli avevo regalato per Natale quando aveva sei anni. Chissà dov’è, quella bicicletta rossa. Bisognerebbe conservare tutto, quando si è vecchi viene nostalgia per tutto, anche per quegli oggetti che ormai da cinquant’anni sono stati buttati nell’immondizia. Ma come mi piacerebbe, adesso, vedere un bambino correre su quella bicicletta che mi era costata un sacco, visto che gli stipendi non erano certo quelli di adesso.
Guardo i programmi della televisione. Stasera dovrebbe esserci il film, perché leggo che invece c’è quello stupido programma comico che non mi ridere neanche un po’? Ma che giorno è oggi? Mercoledì, vero? Preso dal dubbio, leggo la data sul giornale. Venerdì. Oggi è venerdì. Per questo non c’era il mercato. Ma com’è possibile?
Chissà quante risate si farà Maria quando le racconterò che ho sbagliato giorno. Mi guarderà con il suo solito sguardo mite, scuoterà la testa e mi dirà di non preoccuparmi, perché tanto per noi due è indifferente che giorno è, dobbiamo solo ricordarci della domenica per andare a messa, per il resto…
Perché inizia a fare fresco? E anche la luce, perché è cosi debole? Guardo l’orologio. Segna le sei. Non capisco, sono uscito un’ora fa, come possono essere le sei? Ma che giorno è ? Non più mercoledì, con uno sforzo mi ricordo che è venerdì.
Adesso capisco perché ho fame. Ma cosa ho fatto tutto il giorno? Chissà Maria come sarà preoccupata. Mi alzo in fretta e mi dirigo verso casa. La spesa. Mi sono dimenticato di fare la spesa. Ma sono troppo stanco, in frigorifero ci dev’essere ancora qualcosa, per stasera non ci sono problemi. Piano piano salgo le scale. Una volta le facevo di corsa, i gradini due a due per arrivare prima davanti al piatto di pasta che divoravo in un attimo, affamato dopo una mattinata passata nel magazzino. Adesso, ogni gradino è una conquista, ogni pianerottolo una sosta. Incrocio la signora del secondo piano, quella che non si fa mai gli affari suoi. Mi chiede notizie di Maria. Dice che da quando è uscita dall’ospedale non l’ha più vista, e le piacerebbe venire a trovarla, così, per fare quattro chiacchiere e raccontarle le ultime novità del condominio. Le rispondo che Maria sta bene, ma è ancora troppo debole per ricevere visite, sarà per un’altra volta, quando finalmente sarà di nuovo in piedi. Ma perché insiste? Perché mi guarda con uno sguardo strano? Che giorno è? Venerdì, è venerdì, lo dice anche il giornale.
Apro piano la porta. Chissà cosa mi dirà Maria. Mi tolgo le scarpe per non sporcare il tappeto del salotto, appoggio il giornale sulla mia poltrona, sennò dopo non mi ricordo dove l’ho messo e passo la serata a cercarlo, vado in camera da letto. Maria dorme. Non ha neppure bevuto il caffè, forse non ne aveva voglia, o forse le mancavano le forze per arrivare alla tazzina. Domani aspetterò il suo risveglio, prima di fare il caffè.
Guardo nel frigorifero. C’è ancora un po’ di minestra dell’altro giorno. Ma forse è andata a male. L’odore è cattivo, impregna tutta la cucina, è lo stesso odore di stamattina. Allora è proprio come pensavo, anche i vicini hanno lasciato andare a male qualcosa, e adesso tutta la casa è impregnata di cattivo odore. Domani telefonerò all’amministratore, forse lui ha le chiavi, perché bisogna risolvere il problema.
Mangio un po’ di pane e formaggio. Poco, perché mi fa male. E poi, non ho più molta fame.
Mi siedo in poltrona e accendo la televisione. Mi appisolo un momento. Quando riapro gli occhi, vedo scorrere i titoli di testa della trasmissione della mattina. Possibile che abbia dormito tutta la notte in poltrona ? Ma che giorno è? Mercoledì? No, no, è sabato? Aspetto che la televisione prima o poi confermi che è sabato. Si, stavolta ci ho azzeccato.
Maria continua a dormire. Sono giorni e giorni che non riesco a parlarle, ma d’altro canto ha bisogno di dormire se vuole ritornare quella di prima. Deve ritornare quella di prima..Forse si è già alzata per mangiare qualcosa mentre io ero in giro per la città, anzi, di sicuro, e questo è positivo, vuol dire che sta guarendo. Mi siedo accanto a lei e le parlo, piano, per non svegliarla. Le racconto quello che ho fatto nei giorni precedenti, rido quando parlo della giornata passata sulla panchina. E le prometto che, appena si sarà ristabilita, la porterò a passeggio sul lungofiume che le piace tanto e, forse, in estate, andremo a trovare Giovanni, anche se sua moglie non ci vede di buon occhio.
E’ spettinata. Vado in bagno a prendere la spazzola e gliela passo sui capelli, dolcemente. Ciocche bianche rimangono attaccate ai denti. Certo, con le cure che ha fatto, anche i capelli si sono indeboliti, ma ricresceranno, di sicuro. In ogni caso, Maria ha sempre portato fazzoletti in testa, come faceva sua madre.
Suonano alla porta. Vado ad aprire, ma prima metto la catena. Non si sa mai, con quella delinquenza che c’è in giro, meglio essere prudenti. Socchiudo il battente. Di fronte a me, l’amministratore e dietro, seminascosta nel buio del giroscale, la vicina del secondo piano, quell’impicciona. Mi chiede dell’odore che si sente ormai, dice, nell’intero palazzo. Gli spiego che si, è vero, la minestra è andata a male, ma non è possibile che la puzza sia così forte, e poi l’ho buttata via. E’ colpa dei vicini in ferie che si sono dimenticati la roba fuori, è colpa loro, lo so.
L’amministratore mi dice che sono già tornati da una settimana. Ma che giorno è? Che ora è? Lo chiedo all’amministratore che mi risponde incerto, guardandomi strano. E’ lunedì, mi dice, e sono le otto di mattina.
Lunedì. Allora non sono andato a messa, o forse non mi ricordo. C’è un po’ di confusione. Mi chiede di Maria, vuole vederla per salutarla. Gli dico che non è possibile, sta ancora dormendo. Lui insiste. Gli chiudo la porta in faccia. Mi è sempre stato antipatico, ma stavolta ha superato il limite con la sua maleducazione. Torno da Maria e le racconto tutto. Aveva ragione lei quando diceva che non era adatto a fare quel lavoro. Il campanello suona di nuovo. Ah, no, stavolta non vado ad aprire, non ho voglia di discutere ancora, e poi, che si facessero gli affari loro, io ho voglia solo di stendermi accanto a Maria e di fare un sonnellino. Il trillo continua, insistente. Basta. Chiudo la porta della stanza da letto a chiave, mi infilo sotto le coperte, mi metto il cuscino in testa per non sentire. Finalmente un po’ di pace. Io e Maria, da soli. E gli altri, via, fuori, lontano.
Sento un rumore forte, legno spezzato. Non capisco cosa stia succedendo. Battono alla porta della stanza. Ma non ci casco, non apro, non so cosa vogliono, so solo che sono dei nemici che devo tenere lontani. Il cuscino sulla mia testa mi fa sudare, ma non voglio togliermelo, non voglio vedere il mondo.
Io e Maria, e basta.
Sento la porta che cede, delle mani poco gentili mi strappano il cuscino dalle dita. Sono costretto ad aprire gli occhi. Dei poliziotti in uniforme hanno i fazzoletti premuti sul viso. Perché? Degli infermieri in camice bianco coprono il corpo di Maria fin sopra la testa. Come se fosse morta. Ma io so che non è morta, loro sono giovani, incompetenti, non possono ancora sapere che non è possibile che Maria sia morta, non è proprio possibile.
Percepisco delle voci, mentre braccia forti superano facilmente la mia resistenza.
“…Incredibile..” ” si sentiva in tutto il palazzo…” “poveretto, la testa…” …da almeno dieci giorni…” Dieci giorni di cosa? Cosa c’è di incredibile? Che cos’ha la mia testa? Che giorno è?