Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Quarta edizione – 2001
Angela Suprani
Cambio casa
Cambio casa.
Un po’ come un sogno, dove tutto è diverso.
L’assenza degli oggetti e dei percorsi imparati a memoria.
L’assenza – è la cosa più reale, qua dentro. L’unica della quale mi accorgo. Prima c’è stata la mancanza degli oggetti più comuni, piccole cose come le ciabatte o il latte detergente. Piccole assenze disseminate un po’ dovunque, diluite nello spazio e nel tempo, forse per non farmi morire. Per abituare le mie orecchie, piano piano, al suono di questa parola. Mi sono accorta quasi subito che poche sono le cose davvero necessarie. Un po’ d’acqua e di sapone, un asciugamano pulito, e un posto dove stare tranquilla a fumare una sigaretta. Trascorro i pomeriggi a fare il bucato perché qui non c’è la lavatrice, e ci vuole un sacco di tempo per lavare tutto quanto.
Mi piace vedere le cose sporche che diventano pulite.
Mio marito mi ha lasciata da una settimana. Tanti anni di sentieri talmente ben tracciati che percorrerli ad occhi aperti o chiusi era la stessa cosa, e allora quando ho iniziato a chiuderli non me ne sono nemmeno accorta , andavo e basta. Poi c’è stata quella notte e la mattina dopo era tutto cancellato, nemmeno più un’impronta da seguire, niente. Nemmeno più una guancia assonnata da baciare al mattino. E poi incomincia l’assenza, una fila di assenze talmente lunga da stordirmi. Un rumore assordante.
In questa casa non c’è niente. Giusto un tavolo con due sedie, nell’altra stanza il letto e nel bagno una mensola di vetro dove appoggiare le mie cose. C’è una finestra, una bella finestra alta con una tenda bianca, è la prima cosa che ho lavato e adesso mi piace guardarla muoversi piano nell’aria della sera. La mattina mi preparo il caffè e sto seduta a guardare fuori. E’ da una settimana che non esco di casa. Il tempo è diventato tutta un’altra cosa. Tutto ciò che lo riempiva è stato risucchiato via e non ha lasciato traccia , e adesso il tempo e lo spazio vuoto sono la stessa cosa. C’è da avere un po’ di paura, di tutto questo tempo vuoto.
Sto sul letto, muta e in ombra la stanza intorno. Ferma, sdraiata sulla schiena, le braccia alzate sul viso, e ascolto. Ascolto il vuoto strano e familiare che sta crescendo intorno. Ascolto e respiro in silenzio. Ho sbattuto così forte in quel “non ti amo più” che nel colpo deve essermi spezzato qualcosa nell’orecchio e sono diventata sorda. Addosso c’è una cupa insensibilità ad ogni sensazione che sia un poco più complessa di un elementare ho fame, ho freddo, ho sonno. Una cosa cava nella quale respira lento un vuoto caldo e riposante. Dormo, dormo…dormirei sempre.
Quando non dormo sento una specie di siccità in bocca e in testa. I pensieri scricchiolano, fatica addosso, fatica dentro. Qualche volta, specialmente nel momento in cui mi sveglio, mi escono dalla bocca chiodi e rospi e saliva amara. Poi mi faccio il caffè e mi accendo una sigaretta , così passa. Mangio crackers da tre giorni. Impossibile ripristinare il collegamento tra le cose da fare e l’energia occorrente per farlo. Da quaranta minuti, per esempio, sto qui seduta a guardare la polvere che lenta si impadronisce delle cose, e poi penso: come si formano le onde? Mi alzo per aprire la finestra e penso che lo so, lo so, io, come si formano le onde.
C’è questo piccolo, insignificante movimento che fa tremolare in modo impercettibile l’acqua nella quale sta immersa la mia capacità percettiva. Acqua ferma, immobile. Un tremolio leggero, a cui ne fa subito seguito un altro, all’apparenza ugualmente insignificante, poi un altro, un altro ancora, non basta il tempo per rendersene conto che già guizzano come pesci tutti questi assurdi sentimenti, no? Sono milioni, lucidi e potenti, e l’acqua ribolle del tutto impazzita ormai, fuori dal mio controllo, ed è lì, in quel momento, con i polmoni vuoti, che sento arrivare lei, l’onda.
La sento gonfiare, da zero a mille in una frazione di secondo, gonfia gonfia e non esplode.
Poi mi si rompe addosso, e dopo viene la calma.
Il tempo, prima, era vuoto e lento. Ora è veloce e acuminato, poi di nuovo agonizzante, e mi lascia stremata.
Ho staccato le tende bianche e le ho stracciate facendone strisce regolari e assurde. Questo è il gesto più significativo che ho compiuto negli ultimi giorni, oltre ad accendere e spegnere sigarette. In questa nuova casa mi sono organizzata molto bene, ho tutto sotto controllo , sto solo finendo la scorta di caffè.
Questa notte ho ripreso a sognare. Fino a ieri i miei sogni sono stati dei buchi neri , ma questa notte si sono riaccesi i sogni assurdi e faticosi, dai quali faccio fatica a staccarmi al mattino. Appiccicosi e tenaci, sogni di silicone. Passo la giornata a tirare per staccarli, ma mi sfuggono tra le dita e mi rimbalzano addosso. La mattina apro gli occhi e mi sveglio da questa parte del sogno, quella che prima chiamavo la realtà. Mi muovo in un tempo double-face, con i due lati quasi in comunicanti tra loro, se non fosse per queste strisce di bava appiccicosa che mi restano addosso nel passaggio tra un mondo e l’altro.
Ho cambiato casa. Non si sta poi così male. I muri sono bianchi e sui mobili non c’è nemmeno una fotografia. Non c’è un ordine né un’idea che predomina sulle altre, nemmeno il capo di un filo da tirare per vedere da dove inizia il percorso. Non c’è un percorso. Accendo sigarette e guardo fuori dalla finestra senza tende. Qualche cosa succederà.