Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Quarta edizione – 2001
Bruno Longanesi
La luna bavarese
“..Ho guardato il nemico
e ho visto me stesso!…”
(alla memoria di Raimund)
Aveva nevicato fino al giorno prima. Era incominciato presto l’inverno.
Molta neve era caduta in Romagna fin da prima di Natale. Faceva molto freddo quella sera del 1° febbraio 1945.
Avevo un presentimento: non volevo uscire nella notte, c’era qualcosa in me che mi esortava a non fare la normale sortita.
Altre volte mi era capitato di provare questa sensazione ma, come al solito, decidevo rapidamente per il sì.
Anche quella sera, quindi, mi preparavo per uscire a notte inoltrata. Era necessario! Per uno strano gioco del destino la guerra, iniziata in paesi lontani fin dal 1939, si era man mano avvicinata all’Italia; poi, da tre mesi, per motivi militari e strategici non bene comprensibili, si era fermata, addirittura, a Bagnocavallo, mio paese natale.
Era diventato un logorante conflitto di posizione che aveva imposto ai due eserciti belligeranti una comune “terra di nessuno” localizzata fra la stazione ferroviaria di Bagnocavallo e il fiume Senio. Questo stato di cose aveva portato la popolazione civile del luogo allo stremo. Vivevamo come bestie, pigiati in rifugi di fortuna improvvisati privi dell’essenziale come luce, acqua, riscaldamento, giacigli per riposare, servizi igienici. Nulla!…
I viveri e i medicinali erano scarsissimi e bisognava per forza di cose arrangiarsi.
Ecco il motivo delle mie sortite notturne: trovare viveri fra le macerie e fra i combattenti deceduti , perché ogni militare aveva in dotazione un pacco medicinale di pronto intervento e una razione di viveri di scorta. Due ambiti bottini da depredare ad essere umani che non avevano più queste necessità.
Era quindi, opportuno che uscissi anche quella notte, tanto più che non mi toccava il “turno di riposo”. Nella cantina adibita a rifugio c’erano della lunghe panche.
A turno, per dormire, ci si sdraiava sotto, su una lettiera di strame di paglia che, da mesi, non era stata cambiata. Chi non riposava sedeva sulle panche.
Le gambe di questi facevano da sponda al giaciglio di chi dormiva!
Non nevicava più, anzi era una bella nottata.
Una notte di plenilunio e le nuvole alternavano il chiarore latteo della luna a improvvise oscurità. Una sera adatta per andare a “caccia” in quanto, con il plenilunio, le azioni di pattuglia dei due eserciti contendenti erano ridotte al minimo.
Faceva freddo, questo sì, ma la temperatura rigida era il nemico meno pericoloso. Poteva, addirittura, considerarsi un alleato, poiché il termometro, costantemente sotto lo zero, rendeva più … igienico il lavoro cui mi accingevo.
La luna e il riverbero della neve davano un aspetto spettrale a questa tormentata terra di nessuno, dove tutto era stato distrutto: sembrava una landa completamente abbandonata, un deserto candido.
Eppure migliaia di uomini erano concentrati in trincee, buche, camminamenti e anfratti con occhi vigili, pronti a scontrarsi in furenti combattimenti anche corpo a corpo.
In apparenza era una notte calma, una di quelle notti in cui i soli tiri di intercettazione o di sbarramento disturbavano le pattuglie o il sonno dei contendenti.
Uscii tranquillo.
Ormai era diventato una specie di esaltante gioco, un’apparente caccia di disinvolto impegno sportivo . Era un gioco pericoloso?…Certo!
Ma lo spirito di adattamento dell’uomo è impensabile! Tanti mesi di “fronte”, in primissima linea, avevano assopito ogni paura e ogni remora morale.
E poi, l’incoscienza, la sconsideratezza e l’irresponsabilità dell’età avevano avuto il sopravvento sulla residua ragionevolezza.
Mi diressi carponi sulla direttrice della linea ferroviaria Bagnocavallo-Lugo. Di questa linea restava solo il ricordo del tracciato: binari e traversine erano stati tutti asportati dai civili e dai militari per rafforzare i luoghi di riparo a difesa.
Andavo molto circospetto in quella calma irreale. Non c’era da fidarsi troppo! In lontananza sentii una sparatoria: colpi di arma da fuoco leggere, mitragliatrici ed armi in dotazione individuale. Piccole scaramucce nelle vicinanze del fiume Senio.
Erano passati non più di dieci minuti quando sentii tre botti secchi, inconfondibili per orecchie esperti: colpi di artiglieria in partenza. Una frazione di secondo e il classico sibilo: erano in arrivo, vicinissimi, i proiettili
Mi misi in protezione: rannicchiato, premendo sul terreno come per penetrarvi, con il corpo e le mani al riparo degli organi vitali, aspettai un attimo. Tre lampi squarciarono la notte seguiti da tre violentissime esplosioni.
Rimasi immobile per un paio di secondi, in modo che il ventaglio di schegge e di materiale vario scaraventato dall’esplosione si assestasse. Per prudenza aspettai ancora un paio di minuti sul posto senza muovermi. Silenzio assoluto.
Senza dubbio erano stati tiri di intercettazione e per un po’ ci sarebbe stata tranquillità. Si poteva proseguire. Avanzai guardandomi attorno. C’era poco da cacciare. Forse era una nottata infruttuosa, una sortita inutile. Bisognava, comunque, tentare ancora, proseguire ulteriormente.
Le orecchie allenate percepirono un leggero rumore.
Una nuvola nascondeva la luna, era abbastanza buio!
Il terreno circostante non presentava grossi ostacoli alla vista, ma non percepivo più nessun fruscio e non vedevo nulla che giustificasse la mia apprensione.
Improvvisamente alle mie spalle sentii distintamente qualcosa che disturbava quella quiete. Era un brontolio continuo, ma non riuscivo a capire di che si trattasse.
Trattenni il respiro. Restai immobile.
Meno male che c’era quella nuvola!
Ad un tratto mi apparve alla vista un cane magro, sfinito, che faticava a farsi strada in tutta quella neve. Forse non mi vide, forse non fiutò.
La fame doveva avergli fatto perdere anche il senso olfattivo e il senso dell’orientamento. “Povera bestia” – pensavo…e in quel momento non mi rendevo conto che eravamo tutti e due in quel posto per lo stesso motivo!
Ci ignorammo a vicenda. La situazione paradossale suscitò in me un senso d’ilarità e di esaltazione. Perché, poi?…
Stati d’animo che è difficile valutare a distanza di tempo e in situazioni normali. Pensando ancora al cane mi chiedevo, quasi a continuare il gioco: chi sarà più fortunato di noi due?…
Alcuni razzi traccianti mi richiamarono alla realtà. Cosa significavano?…Avvertimenti a pattuglie?…Segnali di imminenti attacchi?…Non potevo farci niente!
Continuai ad avanzare senza una meta precisa.
Ad un tratto vidi alla mia destra una massa scura che contrastava con il candore della neve.
“Qui è esplosa una granata poco tempo fa – mi dissi – …. e ha dissepolto dalla neve terriccio e sassi…”
Mi avvicinai con prudenza perché di solito, nelle buche prodotte dai colpi di artiglieria, si attestavano le pattuglie per sorprendere gli avversari o per riposare. Non mi sbagliai.
Era effettivamente un cratere determinato da una granata e ai suoi bordi qualcosa si muoveva sia pure impercettibilmente.
Mi sembrò, addirittura, di sentire un sommesso richiamo! Restai incerto sul da farsi. In simili situazioni subentra una ridda di contrastanti impulsi. Con molta cautela mi portai un po’ più vicino.
In quel momento la luna risplendeva in cielo, non adombrata da nubi, e vidi chiaramente qualcosa che spiccava nella neve. Era una specie di …no…no…era una forma umana!…
Immobile, ma aveva l’apparenza di una persona accovacciata. “Un morto… – pensai -…la preda!”. -Come eravamo ridotti!-.
Aveva una tuta mimetica bianca di foggia tedesca, caratteristica della pattuglie in ricognizione. Con grande commozione mi accorsi che non era morto. Si vedeva la tuta sollevarsi ritmicamente. Respirava!…
Era prono, lo presi con una certa delicatezza e lo misi in posizione supina. ” Mio Dio!… Ma è un bambino…” dissi a me stesso. Aveva un viso da adolescente, pallidissimo, terreo, esangue. Respirava a fatica ma senza lamentarsi.
Mi guardava fisso, era perfettamente cosciente.
Lessi nei suoi occhi un’espressione di paura, non di dolore. Capii al volo: aveva visto che ero un civile! I tedeschi, specie nella linea di fronte, temevano molto i civili.
I loro capi li avevano catechizzati, affinché fossero sempre vigili, che tutti i civili erano partigiani, ostili ai tedeschi, “ribelli” li chiamavano o, addirittura, “Banditen”, banditi!
Ecco il motivo del terrore.
Lo tranquillizzai subito dicendogli:” Ich bin ein Freund” (sono un amico).
Mi guardò sorpreso.
Sgranò gli occhi ma non riuscì a sorridere. “Ja… ich bin ein Freund…” ripetei. Vidi che era gravissimo. Aveva ancora l’elmetto e la tuta mimetica allacciata alla cintura.
Dove sei ferito? Sulla parte superiore del corpo non c’era traccia di sangue. Ma appena vidi le gambe che penzolavano sulla buca del cratere intuii la situazione.
Una grossa scheggia l’aveva colpito all’altezza del femore e del bacino. Certamente aveva reciso un’arteria.
Tutt’attorno alla ferita c’era una grande macchia rossa, resa ancora più evidente dal candore della neve. Aveva perso molto sangue. Stava dissanguandosi, anzi era ormai alla fine.
Non sapevo cosa fare: gli tolsi l’elmetto. Apparve una testa di capelli biondi, arruffati. Non sembrava il prototipo del soldato tedesco, con la rasatura dei capelli molto alta. Forse al fronte certe impronte “prussiane” erano state messe al bando.
Aveva gli occhi azzurri, un viso magro, scarno, emaciato, lineamenti molto regolari. Chissà perché vidi in lui vaga rassomiglianza con me.
Gli slacciai il cinturone della tuta “. GOTT MIT UNS” (“Dio è con noi”: era inciso su tutti i cinturoni dei militari dell’esercito tedesco) stava scritto sull’attacco della cinghia.
“Come hai bisogno di Dio in questo momento”…pensai rapidamente.
Aveva una piccola cicatrice sulla fronte, una cicatrice recente, ma era evidente che non doveva trattarsi di un postumo riguardante un fatto di guerra. Forse un incidente di gioco di poco prima, con ragazzi suoi coetanei.
E per questo, involontariamente, la mia prima domanda fu banale, sciocca, inopportuna in quel frangente: “Wie alt sind Sie?…(Quanti anni hai?) – chiesi.
Mi rispose con un filo di voce: “Ich bin siebzehn Jahre alt” (Ho diciassette anni). Mio Dio!…La mia stessa età: diciassette anni!…Come era tragico il destino in quel momento. Immaginai le parti invertite! ”
Wie geht es Ihnen…” ( Come stai?) – domandai mentre gli passavo una mano sotto il capo per sollevarlo un attimo.
Esitò, poi: “Nicht besonders gut…” (Non molto bene) – rispose, cercando di farmi capire che conosceva la sua gravità.
Cercai di persuaderlo che non era una cosa grave, anzi! Gli chiesi il suo nome. Mi rispose: “Raimund”
Mi disse anche che era nato a Augsburg, in Baviera. Un attimo di silenzio, poi, quasi vergognandosi, disse un paio di volte. “Wasser” (acqua). Aveva sete.
Non avevo acqua con me. Presi un po’ di neve e gli strofinai ripetutamente la bocca per dargli sollievo. Mi ringraziò con un pallido sorriso.
La luna illuminava la scena. Sembrava ancor più rilucente, più luminosa.
Notai che la fissava.La guardai anch’io. “Mond…” (Luna) – mi disse e poi subito “luna” per farmi capire che sapeva qualche parola di italiano. Forse non soffriva più.
Il dissanguamento cominciava a produrre i suoi effetti lenitivi, mitiganti il dolore. Era comunque la fine. Respirava sempre più debolmente.
Vedevo che voleva parlare ancora ma non riusciva più ad esprimersi bene. Riuscii a capire certe parole; “Mutter” (Mamma), “Isolde” (Isotta), “Mond” (Luna), “Bayern” (Baviera). Intuii che voleva connettere un discorso completo, ma ormai non era più in grado.
Fissava sempre la luna, la fissava con insistenza!…”Mond…Isolde… Augsburg… Bayern…” ripeteva con un filo di voce.
Sempre per intuizione, cercai di assemblare le parole. La “luna”, Isolde”…”Isolde,” chi poteva essere Isolde se non la sua ragazzina?..”Augsburg”…la sua città in Baviera. Cosa gli passava per la mente in quei terribili momenti?
La spiegazione che diedi era la più ovvia. Avrà pensato, guardando la luna, a quante volte insieme a Isolde l’avevano ammirata , forse abbracciati teneramente, nella loro città di Augsburg in Baviera. Era la stessa luna che in quel momento illuminava la casa dove Isolde dormiva ignara . Forse pensava a lui e, nel sonno, lo sognava!
La luna che nello stesso momento illuminava la sua Baviera! Una luna Italiana, ma anche Bavarese!…
Non so cosa succedesse.
Ebbi un attimo di smarrimento, forse di paura, di sgomento, di terrore o di commozione.
Tanti anni sono passati da allora e il ricordo è sfumato.
Non volevo vederlo morire, questo era certo!…Avevo paura della morte nel suo attimo estremo: era la prima volta che mi capitava e non avevo ancora diciassette anni!…Ma anche lui li aveva diciassette anni anche se con una esperienza diversa…
Feci un gesto risoluto, quasi intuitivo, per rientrare in una cruda realtà…in quella cruda realtà! Pensai di slacciare i bottoni della giacca per toglierli la piastrina di riconoscimento che ogni militare porta sempre con sé. Avrei voluto conoscere il suo nome completo, il numero di matricola per risalire, un giorno, alle sue generalità, al suo indirizzo e forse, a guerra finita, comunicare con la famiglia.
I bottoni erano già slacciati: la “piastrina” non c’era più!
I suoi camerati di pattuglia, vista l’impossibilità di trasportare un ferito così grave, l’avevano già tolta! Era già morto per loro!..
Un pugno nello stomaco non mi avrebbe indispettito di più!
Cosa potevo fare? Ancora me lo chiedo. Nulla potevo fare!…
So cosa feci. Lo chiamai: “Raimund”….
Mi fissò … Non sapevo cosa dire, cosa potevo dire in una simile circostanza!…
Gli raccontai una pietosa bugia. Dissi che sarei andato a cercare i suoi camerati, li avrei trovati e li avrei riportati da lui, con un medico. Gli dissi ancora che non era grave, che avrebbe rivisto Isolde, sicuro…l’avrebbe rivista. Sarebbe tornato nella sua Baviera!… Quante bugie dissi!…
Lui ascoltava e sembrava capisse, anzi capiva, perché prima di lasciarlo mi sussurrò, con un pallido sorriso: “Danke, mein Freund…” ( Grazie..grazie tante amico mio).
Ero sbigottito, turbato, smarrito, sconvolto.. Gli presi una mano, la strinsi forte e sentii la sua reazione : anche lui stringeva la mia… Poi, prima di allontanarmi, gli allacciai i bottoni del colletto e della giacca, quasi avesse bisogno, in quel momento, di una simile precauzione contro il freddo. Atteggiò il viso ad un altro sorriso…Quest’ultimo sorriso l’ho rivisto per tutta la vita, un sorriso di ringraziamento che mi ha attenuato il rimorso per averlo abbandonato. Ma perché lo feci?… Non so…non so!….
Dove andai?…. Quanto mi allontanai da lui?…
Non ho l’esatta percezione.
Ricordo che mi fermai in un’altra buca provocata dallo scoppio di una granata. Ero al sicuro. Una ridda di pensieri mi passò per la testa. Non so più quali, ma terribili per un ragazzo di diciassette anni!
Ad un tratto ricordai il motivo della mia presenza in quel luogo: ero a “caccia” di medicinali e di cibo. Raimund aveva con sé medicinali e cibo ma, perdio!…come erano lontane quelle necessità ormai!
Dovevo rientrare, ma non mi decidevo , dovevo tornare da lui!… Guardavo la luna…E Raimund?…La vedeva ancora, oppure…Ero inchiodato in quella buca: non riuscivo ad uscirne!
Cosa mi fece decidere?…
Temo che il ricordo sia velato da fantasia o da immaginazione. Ma giurerei che improvvisamente una grossa nube oscurò la luna, completamente!…
Un attimo solo, poi questa riprese a brillare più di prima. Era quello che aspettavo? Non so , forse si!…Capii che qualcosa era successo!…
Come un automa rifeci il percorso di ritorno.
Vidi in distanza il luogo dove avevo lasciato Raimund e ne vidi il corpo!
Mi avvicinai, era stranamente tranquillo. Sapevo che lo avrei trovato così!
Gli occhi azzurri, rivolti al cielo e immobili per sempre, guardavano la luna con un’espressione di serenità!…
Per pietà avrei dovuto chiuderli.
Per tenerezza li lasciai aperti.
Li lasciai guardare la luna,…la “sua” luna bavarese!….