Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Seconda Edizione – 1997
Fabio Marcotto
Vecchio maledetto
Stamattina mi sono svegliato presto. Saranno state le otto, le otto e un quarto. Il giovedì la donna delle pulizie arriva sempre a quell’ora: tra le otto e le otto e un quarto. Si attacca al campanello, mia madre risponde al citofono e io mi sveglio. Parlare non serve a niente. Spiegare non porta a nulla. Imprecare non spaventa più. E’ una vita ormai che il giovedì mi svegliano tra le otto e le otto e un quarto. Da quando studio all’università. Da dieci anni, più o meno. Ogni giovedì, tra le otto e le otto e un quarto, il campanello trilla a tutta, pigiato dal dito duro di calli della virago ansiosa di mondare tramestare sfregare lucidare sciacquare. Entra anfanando come un sanbernardo infregolato, saluta scattando come un fante al fronte, ramazza sfregando come una burba di brusca. E mia madre le dà corda.
Così il giovedì io mi alzo, mi vesto e esco di casa. Cerco di guadagnare la tranquillità perduta, provo a recuperare un po’ di equilibrio interiore. Mi bevo un caffè e poi vado in biblioteca a leggere il giornale. Come stamattina. Sono uscito, sono passato al bar, mi sono fatto un caffè, mi sono fumato una cicca e alle nove e mezza ero di fronte alla biblioteca. Sono salito, ho salutato il portiere e sono entrato.
La sala di lettura era già piena. A destra c’erano le ragazze del liceo Manzoni con l’algebra sul tavolo, a sinistra la Tina s’era sistemata accanto al termosifone, sotto la finestra il professor Toniatti decifrava la Gazzetta Ufficiale con l’aiuto della lente, mentre il vecchio, come ogni giovedì ogni mese da dieci anni, già si era assicurato il tavolo vicino al banco dei giornali: anche oggi tutti quanti con la loro collocazione fissa. Mi sono guardato in giro ma era tutto occupato anche in fondo. Allora sono tornato indietro e mi sono diretto verso il banco dei giornali.
C’era solo il Secolo d’Italia. Io, invece, cerco l’Alto Adige e la Gazzetta dello Sport. La Repubblica mi sfinisce, il Corriere della Sera mi annoia, La Stampa mi deprime, Il Giornale mi repelle e con l’Unità le dita mi si sporcano d’inchiostro. Io, il giovedì, voglio un giornale che mi liberi la mente. Io, in biblioteca, il giovedì, cerco di guadagnare la tranquillità perduta, provo a recuperare un po’ di equilibrio interiore.
Mi piace leggere lo sport, amo il ciclismo, mi intriga il calciomercato, adoro indovinare l’astuto acquisto del terzino dal futuro certo o la cessione buggerona dell’ala d’imminente schianto. Studio la pagina degli spettacoli, cerco un film al cinema o un concertino al pub. Mi sfizia la lista dei matrimoni da fare e di quelli fatti, mi prude il trafiletto dei nomi da impalmare e di quelli già impalmati. Riconosco l’amico d’asilo e la compagna delle medie, associo cognomi a professioni e nomi a situazioni, registro interetniche geminazioni e decifro incroci marocchitalici, una vocale mi suggerisce un naso e con due consonanti mi si disegna talvolta tutto un volto.
Provo un sottile piacere nel vedermi al di fuori della mischia e lontano dall’altare, immagino senza invidia il presente coniugale di un coetaneo inanellato. Insomma, è così che mi rilasso, è così che cerco di guadagnare la tranquillità perduta, è così che provo a recuperare quell’equilibrio interiore scosso il giovedì mattina dalla virago con lo straccio e la ramazza; aborrisco la finanza, ignoro l’economia, trascuro la politica. Assenti la Gazzetta e l’Alto Adige, ho quindi dirottato l’attenzione sullo scaffale delle riviste e ho individuato Geo.
L’ho presa e mi sono poi portato verso l’entrata, tra la gente che in piedi aspettava di trovare un posto. Ho iniziato a sfogliare buttando di tanto in tanto l’occhio sulla sala a cogliere ogni pur minimo sussulto che potesse giustificare la speranza di una sedia. Ammirato il servizio fotografico sui bradipi – della Famiglia di Mammiferi Sdentati diffusi nelle foreste della zona tropicale dell’America Centrale – e iniziata la lettura dell’articolo scientifico sull’effetto isostatico nella formazione della crosta oceanica, sulla sinistra, dalla sedia accanto alla Tina, s’è alzato un uomo.
La signora in piedi al mio fianco è però subito scattata verso la finestra, lungo il corridoio laterale. Io ho esitato una frazione di secondo, ma, a mia volta, mi sono immediatamente mosso verso il corridoio centrale recuperando subito il mezzo metro perso nell’abbrivio. La signora mi ha guardato di striscio, quando ho allungato il passo, ho evitato di sguscio due ragazzi che si dirigevano all’uscita: accelerando, ma con contegno. Abbiamo raggiunto contemporaneamente la quinta fila e, io da destra, lei da sinistra, abbiamo puntato ambedue dritti al centro verso la sedia liberatasi da poco.
Mi sono appiattito e sono scivolato veloce tra i banchi. Fatti quattro metri, tuttavia, una ragazza si è alzata ostruendomi in parte il passaggio. Lo spazio utile tra la sua schiena e il banco dietro s’è ridotto così a trenta centimetri soltanto. Torcendo il busto, mi ci sono infilato di taglio rimanendo però incastrato. Ho chiesto scusa, la ragazza si è appiattita sbuffando di fastidio e sono passato: giusto il tempo per vedere la signora che lanciava la borsetta sulla sedia, marcandone il possesso. Ci si è seduta, io le sono passato alle spalle, guardando dritto d’indifferenza verso la finestra, ho guadagnato il corridoio. Ho iniziato quindi a scrutare fisso oltre il vetro fingendo un impellente interesse per la situazione meteorologica in generale e per i nembi cumuliformi in particolare.
Poi, dopo qualche secondo, sono tornato verso lo scaffale delle riviste per riporre Geo, sicuro che con tutte le terrificanti maledizioni soffocate tra i denti alla signora un cagotto fulminante non glielo levava neanche il papa. Sono passato davanti al banco dei giornali ma l’ho visto assolutamente vuoto. L’Alto Adige se l’era assicurato il vecchio, mentre Toniatti leggeva ormai sdraiato sulla Gazzette Ufficiale con la lente a separare di un vetro il foglio del giornale dal bulbo oculare. Mi sono quindi accontentato dell’Espresso che nell’attesa mi sono disposto a sfogliare in piedi.
Tuttavia, proprio vicino alla finestra, proprio accanto a Tina, la signora ha preso la borsetta, si è alzata ed ha incredibilmente abbandonato il posto conquistato appena un minuto prima. mi ci sono fiondato immediatamente. Ho atteso che raggiungesse il corridoio, l’ho fatta passare sorridendo quasi da amico e mi sono subito seduto al suo posto. Non mi pareva vero. Ed infatti, nemmeno sbirciato di striscio il sommario, in punta di naso m’ha raggiunto un refolo sospetto.
Aguzzate le nari e attivata la mucosa olfattiva, ho avvertito netto un sentore di feccia vinosa con fetorino di cicca malspenta su posacenere bagnato. Mi sono girato sulla destra e, con assoluta certezza nasale, ho riconosciuto la fonte odorosa nella Tina seduta accanto a me. La Tina è una donna sui quaranta che si aggira per Bolzano con bazar di stracci addosso e cartoni vari appresso e che, d’inverno, usa frequentare la sala di lettura sin dalle prime ore del mattino. Si siede vicino al termosifone e si scalda un po’ le ossa con una rivista a far da alibi sul banco.
La Tina è una barbona. Osservandola da vicino, tuttavia, più che barbe notavo tre ragguardevoli pelazzi che le sbocciavano dal labbro superiore. Ma soprattutto e per uno strano fenomeno di confusa percezione sensoriale, più la guardavo e più il fetorino di feccia con puzzetta alla cicca evolveva in vero e proprio tanfo rancidone in principio di fermentazione. Peggio: il termosifone irradiava regolari zaffate di calore torrido che mi assaltavano la gola e che, risalendo la nuca, costringevano la mente in una cappa di pesante torpore preletargico. Progettavo quindi di andarmene senz’altro. Niente posti, niente tranquillità interiore, molto tanfo, tanto caldo e il vecchio maledetto che assediava il banco dei giornali.
Esaurita l’Unità, stava arpionando Il Corriere della Sera. Con occhio di lince e scatto di ghepardo. Nonostante l’età e l’aspetto. Ogni giovedì, ogni settimana, ogni mese, da dieci anni ormai. Col bello e col brutto tempo. Fuori c’è il sole e tu sei al banco dei giornali, fuori nevica e tu sei al banco dei giornali, fuori è Natale e tu sei al banco dei giornali, tu sei sempre al banco dei giornali vecchio maledetto che ci neghi la lettura e ci fai venire l’odio a tutti noi, i lettori della sala di lettura che chiediamo solo di leggere il giornale.
Vicino a lui il professor Toniatti era nel frattempo crollato stroncato da un abbiocco esiziale. La lente gli era scivolata lungo la guancia, conficcandovisi di taglio. Dal banco di fronte giungevano le risatine delle ragazze del Manzoni che, interrotti gli esercizi algebrici, ne commentavano il clamoroso quanto insperato schianto. In sala il caldo era nel frattempo aumentato, il tanfo si manteneva di costante intensità, mentre da dietro sempre più netto si levava il brusio tipico di metà mattina. Controvoglia, ho iniziato a sfogliare l’Espresso. La politica, gli spettacoli, le tette della Parietti.
Poi, fattomi una mezza bustina di Eco, ho notato un improvviso tramestio nei pressi dell’ingresso. Ho messo subito a fuoco l’occhio interrompendo la lettura: contemporaneamente quanto incredibilmente, la Gazzetta dello Sport e l’Alto Adige stavano facendo ritorno al banco dei giornali. La prima nelle mani di un ragazzo, il secondo in quelle di una signora: ambedue convergevano verso il banco. Ho immediatamente puntato i piedi spingendo la sedia con la schiena, mi sono alzato di scatto, ho lasciato cadere sul tavolo l’Espresso aperto a marcare il pur malsano territorio, ho bucato di naso la nuvola di tanfo sulla Tina e in due secondi e tre falcate ho raggiunto il banco.
Di fronte a me e di pari passo si avvicinava minaccioso un uomo d’aspetto impiegatizio e occhio torvo. Con un ultimo e decisivo colpo di reni mi sono allora portato a tiro di banco, ho allungato di braccio e artigliato di falange: tutti e due i giornali, come un falco. Mi sono quindi allontanato col cuore ancora scosso di tensione e già esultante per il colpo. Mi sono seduto, ho infilato la Gazzetta sotto l’Espresso e ho iniziato la lettura dell’Alto Adige. Prima pagina, notizie dal mondo, primo piano e, arrivato al trafiletto delle pubblicazioni matrimoniali con la prima coppia coniugata, ho sentito la gomma rabbiosa di una scarpa lesta cingolare verso il corridoio: era il vecchio maledetto. Avanzava curvo e con passo legnoso fissando dritto davanti a sé. E’ transitato davanti allo scaffale delle riviste, ha raggiunto l’ingresso, si è diretto verso la finestra, ha imboccato il corridoio di sinistra e si è fermato all’altezza della quinta fila: la mia. Ho levato lo sguardo, incrociando il suo, l’ho subito abbassato.
Ho sentito però la scarpa cingolata del vecchio infilarsi tra i banchi sulla destra e fermarsi poco dopo: davanti a me. Mi sono allora piegato sul giornale ostentando concentrazione e segnalando asocialità. La sua mano è però calata proprio sul giornale, nodosa e giallastra di pelle secca, un ramo di noce fossilizzato dal tempo. Ho alzato gli occhi incontrando i suoi, acquosi e venati di rosso, fondi nel viso pallido malato e coperto in fronte dai lunghi capelli bianchi. Mi ha fissato un attimo, ha abbassato lo sguardo sulla Gazzetta dello Sport seminascosta sotto l’Espresso, ha sbarrato gli occhi e LEI COME SI PERMETTE, è improvvisamente sbottato urlando tremante nella sala di lettura piena, LEI E’ UN MALEDUCATO LEI E’ UN EGOISTA LEI SI PORTA AL BANCO DUE GIORNALI LEI SI PRENDE L’ALTO ADIGE E LA GAZZETTA DELLO SPORT LEI LA NASCONDE SOTTO L’ESPRESSO IO LA CERCO DA MEZZ’ORA TIRI FUORI LA GAZZETTA DUE GIORNALI PER VOLTA NON SI PUO’ COME SI PERMETTE SE TUTTI FACESSERO COME LEI MALEDUCATO COME SI PERMETTE.
Nella sala di lettura il silenzio s’è fatto assoluto. Tutti hanno alzato gli occhi dal libro, tutti hanno alzato gli occhi dal giornale, tutti hanno alzato gli occhi dalla rivista, tutti guardavano me e il vecchio che era rosso viola quasi cianotico con le vene tirate fuori dal collo e la schiumetta bianca spumeggiante agli angoli della bocca. Ha continuato a fissarmi per qualche secondo, si è poi girato un attimo verso la Tina che lo osservava ebete nell’occhio e spenta in viso, è tornato a fissarmi, ha allungato la mano, ha afferrato la Gazzetta dello Sport, si è girato ed è tornato al suo posto vicino al banco dei giornali. Io sono rimasto paralizzato secco sulla sedia, gelato di vergogna. Non ho avuto il coraggio di alzare gli occhi sulla gente e ho fissato il giornale aperto sulla pagina delle pubblicazioni matrimoniali, Bistilfi Franco con Turro Marina, Nurredine Al Fatafel con Pramsthaler Isolde. Quindi mi sono sentito bollire in faccia e il sudore, a gocce grosse, annegare le ascelle e scendere sui fianchi. Ho atteso due minuti. Poi, guardando sempre fisso davanti a me, mi sono alzato, ho chiesto gentilmente permesso ed ho guadagnato il corridoio. Ho riposto il giornale e la rivista, sono uscito dalla sala e sono corso giù per le scale, in strada, all’aperto, verso casa.