Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Seconda Edizione – 1997
Andrea Rossi
Istantanee alla fermata dell’autobus
Su territori contigui, ai confini della stessa mattonella, due gemelle siamesi sostano alla fermata dell’autobus. Litigano per affermare il legittimo possesso di quella mattonella: un passo dentro, un passo fuori dai confini sottilmente segnati sul porfido. Giungono intanto risa di scherno dal 39 barrato, sopraggiunta corazzata dell’ora di punta: una fila impettita di cannonieri, timidi per altri versi, ride ora di quel litigio, protetta dalle porte a soffietto, ma senza il coraggio di buttarsi di sotto. Che scandalo: esibite così, due ingenue e colpevoli creature! Forse partirà una missione di accertamento per insubordinazione alla pubblica decenza alla fermata dell’autobus.
Molto più tardi, di notte, alla stessa fermata. Alla luce della luna occhio di bue o del lampione bestia di strada: lì sotto Manicodiscopa e Impestata si contendono i clienti. “Notte.” Fa l’una. “Notte.” Fa l’altra. “Clic.” Fa il mondo. Ed è buio fitto: è la luna che terrorizzata si allontana o il lampione che disgustato si dilegua? Passa il biondo, passa il moro, sanno già cosa spetta loro. Filastrocca nottambula. Il prezzo comunque non è certo alto per un viale di periferia. Ricciolo è lì, come ogni sera. Ci si fa portare dall’ultima corsa del 39 barrato: come capitano della corazzata in procinto del quotidiano disarmo scruta i coni di luce dall’enorme oblò, attento in piedi accanto al conducente. E, ubbidiente alla targhetta alla sua sinistra, non gli parla. E’ lì che viene a cercare una sorella, una sorella per la vita e allora prenota la fermata e si tuffa in quella cartolina. Ricciolo ripasserà domani e poi ancora domani e per i giorni a venire: è troppo importante ritrovare una sorella mai perduta, ma sempre sognata. Si leggerà il giorno seguente sui quotidiani del mattino: “Ricciolo insanguinato per un storia di malaffare – Tragedia alla fermata dell’autobus: l’autista ha visto tutto con la coda dell’occhio”.
Quel giorno e quel giornale giacciono aperti anche sul grembo di un duplice corpo: Tarzan di sopra e un esercito di cellule morte di sotto; l’ombelico a fare da spartitraffico (ci risiamo col via vai incoerente della vita?). Il mondo di sopra spinge la carrozzella e porta a spasso il mondo di sotto che paga in silenzio un biglietto di rancori. Obliterazione avvenuta in quel preciso istante in cui le ruote del 39 barrato segnarono l’ora e il capolinea di una vita che cercava di buttarsi via, lanciandosi dall’altezza infinita di un marciapiede su quel viale di periferia. Ora i due corpi ascoltano solo marce militari. E l’uno esercita ed ostenta la propria estraneità all’altro in prove di resistenza: sollevarsi con la sola forza delle braccia a strappare il filo di una marionetta appesa al ramo di una quercia. Sono esercizi utili, il giusto allenamento per l’appuntamento ricorrente che lo riporta alla fermata del 39 barrato. Più tardi, a casa, Tarzan striscia lungo il camino acceso per portare a tepore il mondo che là sotto non vive. “Buongiorno”; la cameriera fa capolino nella stanza, una maniglia s’affloscia e la porta si richiude. “Ho fatto il caffè.” Non è stato un sogno ” pensa il Tarzan di sopra ” è vero, un’altra notte è passata”. E c’è stato un altro urlo che non era il suo, ma che gli era molto vicino e che è vissuto in quell’attimo con lo stesso ingenuo candore, stupore, orrore di ogni volta. Il cadavere di una donna qualsiasi è dunque ora di là, rubata definitivamente alla sua inconsapevole agonia alla fermata dell’autobus. In un breve attimo di insubordinazione alla vita e all’ordine della cose.
Ricorre l’ossessione per il 39 barrato: saltò fuori infatti già nei primi giorni anche di un’altra indagine, accanto e parallelamente all’ostinata passione del marchese Coccarani per Dorotea e Melania. Fu soprattutto una questione di sfumature. Indossavano entrambe quel giorno un agile caban da marinaio, di panno blu scurissimo, lavorato a strisce incrociate ton su ton che creavano un leggero contrasto; il capo era aperto su una casacca morbida di velluto liscio stampato con ricami e inserti di pizzo e spalline bijou. Lui vestiva più comodamente un trench setoso e impermeabile, color panna; morbido, fluido, passe partout, solido nello stile. L’incontro decisivo, dopo giorni di sguardi e di qualche scambio ardito di parole sul 39 barrato, avvenne in Aquitania, dove lui aveva appena acquistato una fattoria per la produzione di miele e foie gras. L’offerta fu allettante per Dorotea e Melania: formula week-end a partire da trecentomila lire, due giornate a cavallo, a pesca sui fiumi, pranzi al sacco, chiacchiere di mare, pensione in rifugi. Tutto corrispose, ed infatti ora è agli atti, grazie anche alle ricevute carinamente conservate da Melania e ritrovate dalla scientifica nelle ampie doppie tasche a fessura del suo caban. Sul panno blu spiccava poi inequivocabile la griffe della casa Coccarani: schizzi di sangue monocromatici per un sottile effetto mélange. La famosa ricetta Coccarani per ragazze: un rapimento rituale a scopo di libidine, firmato da una griffe di solida tradizione. Da sempre alla fermata sul viale e da poco anche su Internet.
Distolse lo sguardo dalla foto del ritrovamento di Melania e Dorotea, ma non per disgusto. Si reggeva al corrimano mentre il 39 barrato impostava la curva. Meglio l’avviso pubblicitario che gli occhieggiava dinanzi al naso, piuttosto che lo sfilare dei passeggeri. Che ne sapevano loro: voleva vivere border line lui. Per assaporare al meglio qualsiasi surplus di input, per trovarsi nel bel mezzo del fall-out di più esistenze. Vivere live, mai transfer: certo ne andava del comfort, ma era assai più original. Una vera e propria artists collection di esperienze, selezionata o raffazzonata che fosse: gli era indifferente; purché collection. Perché aveva deciso che la vita per lui sarebbe stata un solo, unico, non convenzionale party. Per raggiungere tutto questo aveva cominciato a curare la silhouette del proprio body: aveva attraversato il neohippy, aveva abbandonato il tweed. Tutto pur di essere unlimited. E scese, come al solito, alla bus station col vuoto intorno a lui, ultimo passeggero dell’inutile corsa quotidiana al, deposito.
E poi c’è Anna alla fermata sul viale del 39 barrato: avesse una bocca ancora, le labbra grandi e rosse e due file di denti là dentro. Anzi ne avesse due, al posto degli occhi dico, Anna si mangerebbe il mondo intero. Ma ha due occhi e per lei è esattamente lo stesso: è con quelli che divora il mondo. E’ con la doppia serie di denti che lo trattiene, come un palloncino della Standa preso per un filo. Teso tra gli incisivi. “Se vuoi cambiare il mondo, cambia l’altra faccia del mondo. La tua.” Premio Pulitzer per lo slogan più efficace. Non riesce proprio a pensare ad altro quel mattino: Anna lavora di fantasia esattamente al reparto profumi dell’ultimo piano del grande magazzino dinanzi alla fermata del 39 barrato. E se Anna veramente si fosse ritoccata il viso, come desideravano quelli della direzione centrale? Sulla scrivania: “All’attenzione della signorina Anna: rivoluzionare il settore immagine, sperimentare una super – computer – electronic – imago. Aumentare l’impatto visivo = aumentare le vendite! Si dia da fare.” Quel mattino si salutano: si riconoscono affezionati utenti del 39 barrato, piccolo spicchio d’umanità. Quel mattino non scendono alla fermata sul viale. C’è un bar al centro, dentro al parco: un altro piccolo spicchio d’umanità, soltanto non in movimento. Il barista dice che si sorrisero molto nei primi minuti e che lei ordinò una tazza di cioccolato fuso. Il barista sostiene di non aver udito urla, ma aggiunge che tutto quel sangue gli parve troppo per una inconsapevole scortesia. Non crede infatti che Anna avesse letto l’annuncio. Al banco profumi dell’ultimo piano del grande magazzino una rosa tea da quel mattino ricorda Anna; è forte l’immagine al telegiornale di mezza sera, ma le vendite al reparto sono aumentate e in direzione centrale sorridono contriti.