Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Sesta edizione – 2005
Testa Paola
Tram di notte
Era un tram quasi dimenticato. Una linea notturna che faceva il periplo di tutta la città. Serviva soprattutto la periferia ed era praticamente sconosciuto agli abitanti del centro. Aveva un numero, ma la maggior parte della gente non lo conosceva nemmeno Forse n° 2 o 3 ma non aveva importanza. “Il tram della notte” lo chiamavano gli abituè. Il suo percorso era lunghissimo, si addentrava persino in una specie di giardino pubblico, costituito più da una fitta boscaglia che altro, che però gli permetteva di toccare quartieri periferici altrimenti difficilmente raggiungibili. Partiva dal capolinea alle nove di sera e viaggiava ininterrottamente fino alle sei del mattino quando, stanco, si ritirava nella rimessa. Era un tram più lungo degli altri o così sembrava perché era costituito di due vagoni tenuti insieme da uno snodo che li metteva in comunicazione. Le strade periferiche erano piuttosto buie come se il comune avesse voluto economizzare la corrente elettrica proprio qui chissà per quale motivo. Il tram, dunque, con le sue luci ravvivava le strade quasi deserte e quando attraversava il giardino pubblico sembrava che un serpentone lucente si insinuasse tra gli alberi. Lo conduceva un vecchio tranviere. Vecchio per modo di dire poiché aveva appena superato i cinquanta, ma vecchio per il numero di anni passati su quel mezzo che era diventato a tutti gli effetti suo. Per “usucapione” si potrebbe dire. Erano entrati in una specie di simbiosi lui e il tram e, nelle serate invernali quando il freddo tratteneva la gente dall’uscire e vi erano dei momenti nei quali il mezzo tra una fermata e l’altra , restava vuoto, il tranviere gli parlava come fosse una creatura. Era abituato a trascorrere le notti seduto su quella poltrona alla guida di quel vecchio arnese che sferragliava su e giù per salite e discese senza mai stancarsi. Conosceva quasi tutti i passeggeri per nome, infatti erano sempre le stesse persone che ogni notte prendevano il tram notturno. Ognuno aveva la propria fermata, sempre la stessa mai cambiata in anni e anni di uso e ognuno scendeva sempre nello stesso posto per cui non c’era ormai più bisogno di avvertire il guidatore suonando l’apposito campanello: lui bloccava il tram per ognuno nel posto esatto in cui doveva scendere- Si salutavano brevemente per poi rivedersi la notte dopo. Tutto fu sempre uguale per anni, poi cambiarono i tempi. Cominciarono le rapine, specie in periferia dove c’era poco movimento e altrettanto controllo. La gente perbene aveva paura e si muoveva mal volentieri con il buio, così. lentamente, il tram notturno venne disertato dai più e rimase appannaggio di drogati e prostitute che lo usavano per recarsi da un posto all’altro nel quale svolgere il proprio così detto lavoro. Il tram viaggiava quindi spesso quasi vuoto, una o due persone al massimo e così leggero sembrava correre attraverso la città a velocità pazzesca producendo un rumore assordante di vecchi catenacci arrugginiti. L’azienda tranviaria aveva, per un certo tempo, discusso la possibilità di sopprimere quella linea quasi in disuso, poi, per pigrizia o per altro, non ne aveva fatto niente e il vecchio tram aveva continuato il suo giro. Ogni notte, molto tardi, forse oltre le due, quindi quasi al mattino, saliva una piccola ragazza di colore con una gran testa di capelli ricci e le gonne corte che lasciavano scoperte esili gambe quasi di bambina. Saliva lentamente e si lasciava cadere sui sedili di fondo. Qui si stendeva e, vinta dalla stanchezza chiudeva gli occhi e si appisolava. Alla fermata dopo quella della ragazza saliva un balordo. Un ragazzo grassoccio dall’aria stupida seguito da un cane che, in origine, doveva essere stato bianco, ma ora era di tutti i colori dell’arcobaleno. Il balordo sedeva verso il centro del mezzo e il cane si sdraiava ai suoi piedi e cominciava a leccarlo coscienziosamente. I due, sia il balordo che la ragazza usavano il tram, a quanto sembrava, solamente per fare una passeggiata perché si lasciavano scarrozzare per tutto il percorso per poi ridiscendere alla stessa fermata alla quale erano saliti. Forse non avevano nemmeno il biglietto, ma il conducente non se ne curava. Erano due poveracci e lui lasciava correre, però era roso dalla curiosità di sapere quale fosse l’attività della ragazza e una sera vinse la propria ritrosia e glielo chiese. Era appena salita e stava avviandosi al suo posto abituale in fondo al veicolo quando il tranviere l’abbordò con una domanda che gli venne fuori fredda e brutale non per volontà di ferire, ma per la sua innata timidezza. “Fai la vita?” Le chiese. Lei arrossì e si fermò accanto a lui: “No.” Disse “Non faccio la vita, ma faccio la cameriera in un ristorante. Non sente che puzzo di fritto?” “Non me n’ero accorto.” E con queste parole il discorso fu chiuso. La ragazza si buttò, come al solito sui sedili posteriori e cadde in quel suo dormiveglia abituale. Così stesa le gambe le si scoprirono di più e lasciarono intravedere le cosce, esili anch’esse, ma ben fatte. Il conducente le sbirciò attraverso lo specchietto retrovisore e il suo sguardo ne fu talmente attratto da non riuscire più a staccarsene. Era un uomo tranquillo e senza grilli per la testa, però, la presenza della ragazza stranamente lo turbava e, quella notte, chissà perché, gli prese il desiderio di agguantarla per le gonne e possederla. Tentò di scacciarne il pensiero. girò alcune leve, ridiede corrente e il tram ripartì a tutta velocità. Tuttavia l’idea gli frullava per la testa: in fin dei conti, pensò, lì dentro erano solo in tre: lui, la fanciulla e il ragazzotto, seguito sempre dal cane. Dormicchiava durante tutto il percorso e non lo avrebbero svegliato nemmeno le cannonate. Di nuovo cercò di pensare a qualcos’altro. Si vergognava della propria libidine che, a dire il vero, molto di rado lo assaliva, e poi, la ragazza avrebbe potuto essere non sua figlia, ma sua nipote addirittura. Però, forse proprio per questo, la cosa lo attirava di più. Pensò allora a come avrebbe potuto fare per mettere in atto ciò che desiderava e immaginò di poter bloccare il veicolo a una fermata deserta, tanto a quell’ora non saliva mai nessuno. Poi scacciò di nuovo quel pensiero molesto che però tornava con insistenza a tormentarlo. “E’una follia,” si disse, “è quasi una bambina e io sono quasi un vecchio.” Ma proprio per quel suo aspetto infantile essa suscitava in lui una specie di tenerezza, un desiderio di carezzarla sulle guance rotonde e di brancicarle in qualche modo le carni lisce. Di nuovo si diede del pazzo, del vecchio bavoso, del bruto, del pedofilo visto che, in quel periodo si parlava tanto di pedofilia, ma più ci pensava e più si sentiva giustificato nelle proprie sensazioni. In fin dei conti la ragazza era discinta e, quindi, era un invito silenzioso, ma potente al sesso. Forse, tutto sommato anche lei lo desiderava e si metteva in quelle posizioni provocatorie per eccitarlo. Era dunque colpa di lei e non sua se gli si era scatenato quell’uragano di sensazioni sconosciute. Diede di nuovo corrente al tram che si mise a correre come un forsennato nel buio della notte. Anche il cane era strano quella sera. Leccava il padrone quasi di malavoglia, non con il consueto impegno. Si girava e si rivoltava senza trovar pace. Andò persino a guaiolare vicino alla ragazza poi si avvicinò al tranviere e gli leccò leggermente una mano come per chiedergli qualcosa. Intanto, mentre il conduttore si arrovellava il cervello preso dal suo desiderio, il tram correva e correva nel buio che si era fatto sempre più fitto. Ora sembrava di non essere più nemmeno dentro la città e, attraversato il parco pubblico parve che gli alberi infittissero e che il giardino stesso fosse ingigantito smisuratamente. Il cane continuava a guaire e il suo padrone lo zittì più volte uscendo momentaneamente dal dormiveglia, ma senza alcun risultato. Fuori erano spariti i pur rari lampioni e l’oscurità si fece quasi impenetrabile. Finalmente si uscì dal bosco. Ora c’era la campagna appena illuminata dalla luna. L’erba ondeggiava nel vento e riluceva leggermente per la pioggia caduta poche ore prima. Il tranviere stentava a capire dove fossero perché non riconosceva il paesaggio. Doveva aver sbagliato uno scambio, pensò, ed essere finito chissà su quale linea di rotaie vecchia e fuori uso da secoli. Di tutto ciò, però, poco gli importava. Il suo pensiero fisso era la ragazza. Si vergognava di se stesso così poco abituato com’era a provare simili cose, tuttavia non riusciva a dominare il desiderio e ogni pensiero era fatto per giustificarlo. Maledetta ragazza, imprecò dentro di sè, salita sul tram per togliergli la pace. Venne preso da un impeto di furore contro di lei mentre continuava a fissarla nello specchietto retrovisore. La ragazza dormiva adagiata sui rigidi sedili del mezzo. Fuori l’oscurità era totale. Il tram sferragliava a velocità sempre più elevata e senza alcun controllo nella campagna deserta. Il tranviere si alzò in piedi senza più occuparsi della guida, ignaro del percorso, della notte fonda e di tutto ciò che non fosse la ragazza. Non aveva più freni inibitori. Le giustificazioni al proprio comportamento avevano cancellato ogni capacità razionale. Decise di bloccare il tram dovunque si trovasse. Cominciò a maneggiare i freni, ma senza alcun risultato: i freni sembravano non esistere. Imprecò contro il mezzo che non lo assecondava, premette freni e acceleratore contemporaneamente al colmo di una specie di furore parossistico: nulla, non successe nulla. Il tram continuava la sua corsa sfrenata sotto una gelida luna tra prati erbosi nei quali si insinuavano le rotaie vecchie e fuori uso da non si sa quanto tempo. La ragazza si stiracchiò tranquilla. Il cane, invece, diede di nuovo segni di inquietudine e prese a muoversi avanti e indietro senza posa. Dai finestrini aperti entrava una dolce aria piena dei profumi dei campi e quello più penetrante dei fiori che cominciavano a sbocciare tra l’erba appena falciata. La notte era fresca, ma non fredda. Il conduttore si avvicinò a un finestrino e aspirò profondamente l’aria della notte e la quiete della campagna gli restituì un po’ di serenità. Di nuovo si vergognò di se stesso e decise che non avrebbe più rivolto neppure uno sguardo alla ragazza per non riceverne altro turbamento. Non l’avrebbe toccata. Neppure sfiorata, decise, tuttavia gli occhi gli corsero al fondo del veicolo dove dormiva la fanciulla: il cane si era accucciato ai suoi piedi come a proteggerne il sonno. Di nuovo fu preso da un impeto di furore questa volta contro il cane. Aveva sempre temuto i cani fino dall’adolescenza e la presenza dell’animale accanto alla ragazza gli sembrò quasi un affronto: lo avrebbe volentieri eliminato se solo ne avesse avuto il coraggio. Ancora una volta le decisioni prese quasi a freddo poco prima furono buttate all’aria. Perché rinunciare? Rinunciare sempre? Gli tornarono alla mente le tante rinunce del passato e, questa volta, no, si disse, non avrebbe rinunciato. Mosse un passo e il cane ringhiò piano, un ringhiare appena percettibile ma deciso. Arretrò di nuovo e il suo cervello prese ad arrovellarsi nella ricerca di un sistema per aggirare l’animale che, steso a terra con il muso tra le zampe lo fissava di sotto in su con aria tranquilla. La sua capacità razionale si scompose alterando la realtà, gli occhi si arrossarono in un impeto di ira furibonda contro il cane che gli parve un rivale: “Non l’avrai.” Borbottò. “Ci sono qua io per lei.” Alzò il tono della voce e la ragazza ebbe un sussulto, aprì gli occhi e allungò una mano a carezzare la testa dell’animale , poi ricadde nel dormiveglia. Il balordo non si mosse né si accorse di nulla. Fuori cominciava ad albeggiare. Il tranviere sedette come in attesa di qualcosa che doveva accadere. Il tram diede uno scossone e con uno stridio di freni si fermò. Il mattino dopo, con il sole alto nel cielo, alcuni contadini videro un grosso veicolo fermo su di una rotaia in disuso da anni e invasa dalle sterpaglie tanto alte da coprirlo quasi completamente, si avvicinarono e un uomo salì. Sul primo momento all’interno gli parve che non ci fosse nessuno , poi, sui sedili di fondo vide una ragazza che dormiva. Ai suoi piedi un cane. Si accostò a loro. Il cane ringhiò.