Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Sesta edizione – 2005

Giampietro Guido

Sopra il cielo

“Ragioniere! Allora, l’alziamo questa mano? Approva? Si o no?!”. La stridula voce dell’amministratore, con la forza d’una freccetta che penetra nel bersaglio, si conficcò nella mente svagata del ragioniere facendogli comprendere che il destino dell’intero stabile dipendeva oramai da lui. Ciò non ostante fece passare un’eternità prima d’alzare una mano che proprio non ne voleva sapere d’approvare quella delibera. Poi , nella confusione generale che seguì alla sofferta approvazione della ristrutturazione, s’allontanò indietreggiando pian pianino fino all’uscita, così come fa il gambero che si rifugia nel fondo buio della tana per sfuggire al cappio tesogli dal ragazzo. Quella decisione collettiva era servita, se non altro, ad agevolarne una individuale. Quella di sloggiare dal falansterio in cui abitava, abbandonando un condominio di gente piccola piccola, ma dalla voce grossa grossa. Gente che maschera le vere ragioni di una pidocchiosa taccagneria dietro l’enunciazione di superiori principi e sacrosante norme di diritto. Basta, dunque, con le riunioni-scontro al limite del contatto fisico. Una vera sofferenza per uno che, come lui, era per la non violenza. Non quella sassaiola dei movimenti pacifisti, ma quella vera che arriva fino all’abiura della violenza verbale. Che fa anche più male di quella fisica perché colpisce dentro. Lontano da lì! In una casa magari più modesta ma indipendente: con un portone che tenga alla larga gli indesiderati, con una cassetta che non subisca la contaminazione della posta pubblicitaria, con scale sempre linde e luci accese solo alla bisogna. Fuori della portata dei bisonti che scorazzano al piano superiore o degli urlatori che, di sotto, si accompagnano a musiche infernali o delle coppie etero-omosessuali che, dall’altra parte di una diafana parete, alternano diurne volgarità ad ansimanti lamentazioni notturne.. Ed il mare? Quello con cui faceva colazione il mattino, degustandolo con gli occhi tra un sorso di caffè e lo scricchiolio di un biscotto?pazienza! se era questo lo scotto da pagare per vivere in una casa indipendente. Anche se a lui, senza mare, non riusciva proprio di vivere. A tal punto che ora, all’età di ventinove anni sonati, non poteva soggiornare per più di cinque o sei giorni in località che di quella vista erano prive. Perché, diceva, in una città con il mare puoi fissare l’infinito; in quelle senza, puoi solo immaginarlo. Con questi pensieri, il ragioniere, inconsciamente, si diresse verso la parte della città che più di ogni altra prediligeva: le Sciabiche, un antico rione il cui nome derivava dalle reti utilizzate per la pesca a strascico. Passeggiava dunque tra viuzze e corti in cerca di casa, ben sapendo che difficilmente avrebbe potuto trovarvi quella dei sogni visto che la zona , pittorescamente affacciata sul lungomare e a due passi dal federiciano Castello Svevo, era divenuta la parte più urbanisticamente appetibile della città. Camminava a testa alta e non certo per elevarsi sopra le umane miserie (anche se, in fondo in fondo, a quello anelava dopo ogni riunione di condominio), ma solo per individuare gli avvisi di vendita che agenti immobiliari trampolieri affiggevano sempre più in alto. Per di più procedeva controsole in quel mattino dall’aria aprica e satura d’odori forti. Come quello amarognolo delle reti impregnate di salmastro misto al lezzo delle alghe putrescenti o quello della stoppa catramata con cui i vecchi pescatori calafatavano le barche di legno sopravvissute alla vetroresina. Perciò, mentre intravide, ancorché disturbato dal sole, il “vendesi” sul bianco muro della casetta che tante volte aveva rimirato per quei balconcini ridenti di fiori, non si accorse della giovane donna che proveniva dal senso opposto. Così, in assenza, non dico di un videocitofono, ma nemmeno di un campanello, posero nello stesso istante le mani sul batacchio d’ottone lucente del portoncino. Trasalì lui per colpa di una timidezza fuori posto per la sua età. Trasalì lei perché non credeva che un approccio potesse spingersi a tanto. “Scusi lei è il proprietario?” (che stupida! Il proprietario avrebbe le chiavi! Però mica male questo giovanotto…Oddio! Speriamo che non si tratti di un concorrente, perché a questa casetta sto puntando da una vita non vorrei proprio rinunciare).. “No , sono qui per chiedere informazioni sulla casa …” (bravo! Ma proprio non ti riesce d’essere un poco furbo? E se questa, con la fortuna che ti ritrovi, è una che poi ti soffia l’affare? Peccato però, perché è proprio una bella tipa…). Toh! Anch’io cerco casa” (mi si spezza il cuore perché, anche se sei belloccio, da questo momento siamo su fronti opposti!) “Che cosa cercate? – chiese in quel mentre un faccino aureolato di gerani e buganvillea come quello della Madonnina dell’edicola all’angolo della via. – Se siete per la casa , dovete telefonare all’agenzia…” Signora , solo un’informazione…- replicò titubante il ragioniere. – i due piani si possono acquistare anche separatamente?”. L’idea, balenatagli in quell’istante, di un’alleanza strategica con una potenziale rivale gli apparve a dir poco geniale. Anche se questo avrebbe significato l’addio alla sognata casa indipendente (sempre meglio, però, avere sulla testa una bella ragazza come questa che i tre terribili figli del geometra Spaventa). Si auto.-rassicurò così il ragioniere che già pregustava il piacere di vincere il premio per il balconcino più infiorato al passaggio della processione del Santo Patrono. “Mi spiace, ma mia figlia vuole vendere la palazzina ad un unico proprietario…” “Signora, – s’intromise la ragazza con un tono che ammetteva solo una risposta affermativa, – ho ancora poche ore da trascorrere insieme al mio ragazzo. Sa, io faccio la maestra a Bergamo. Dobbiamo sposarci ad ottobre ed abbiamo così poco tempo per trovare casa…Sia buona…. Ce la faccia vedere. Magari non ci piace ….Lui è così difficile…” (caro mio, ho bello e capito di che pasta sei fatto. Con la tua gentilezza, vera o falsa che sia, non farai molta strada nella vita.) il ragioniere trasecolava (diceva bene la mamma: le ragazze troppo belle sono un po’ pazzerelle). Fu dalla comparazione di questo dogma con il pensiero d’Erasmo da Rotterdam, che egli era giunto ad elaborare una sua personale teoria sul narcisismo. Secondo la quale, chi è bello, ma anche chi è convinto d’esserlo (che poi è la stessa cosa), è destinato, prima o poi, ad abbandonare il mondo della concretezza per quello che lui chiamava delle “idee sciolte”. Sciolte, cioè, dai legami con la realtà…Da questo assioma scaturiva il corollario che la timidezza, lungi dall’essere una deminutio della personalità, costituisce invece l’arma più efficace per contrastare la pazzia, alias, le belle donne… “Ragazzi, che devo dirvi? Salite…”, esclamò la donna rientrando lentamente in casa. “Ha visto come si fa? – disse la ragazza con tono trionfale. – Adesso vediamo com’è la casa; poi, se ci piace, vedrà che troveremo il modo per metterci d’accordo…” (con quell’aria di timiduccio fuori del tempo è anche più interessante. E se oggi, per una congiuntura astrale favorevole, avessi risolto in un sol colpo due problemi? O forse sto correndo un po’ troppo?) il ragioniere, esterrefatto come mai gli era capitato, non fu in grado di spiaccicare parola, anche se avrebbe avuto tanto da dire e, soprattutto, da ridire (però, devo ammettere che è una ragazza sveglia. Per un sognatore come me ci vorrebbe proprio una donna così: con i piedi ben saldati per terra. Anche se questa, i piedi, ce li ha conficcati nel sottosuolo!) salirono una ripida rampa di scale emozionati come scolari al primo giorno di scuola. Quello che più li colpì non fu tanto l’inusuale alzata dei gradini di pietra bianca, quanto la funicella che, parallela al corrimano di ottone, aveva la funzione d’aprire il portoncino. Era mai possibile che in quel rione, antico quanto si voglia, non fosse ancora arrivata l’elettricità? La signora del balcone era ad attenderli, sorridente, sul pianerottolo. Sicuramente più vicina agli ottanta che i settanta aveva capelli bianchi come fili d’argento, raccolti sulla nuca in una crocchia in cui era infilato un maspilllo di tartaruga. Il volto, esangue come quello di una statuetta di biscuit, non presentava nemmeno il segno di una piccola ruga. A far da contrasto a tutto quel candore c’erano i vivaci colori dei vestiti, a cominciare dai soffici scalferotti rosa che spuntavano dalle pantofole di un blu elettrico, da ancestrali tradizioni, a rammentare ai vecchi il buio delle tenebre che è lì a due passi da loro. Due o tre gradini prima di arrivare in cima la ragazza, volgendosi al ragioniere con mossa rapida, gli sussurrò nell’orecchio : “Io sono Maria. E tu?”. E vedendo che quello era la trasognatezza fatta persona, ripeté: “E tu?” (Gesù, ti prego , per i prossimi dieci minuti, lasciagli l’uso della parola). “Arancini…ragioniere Arancini Marco”, precisò quello, rosso in volto a causa del turbamento che l’alito, attraverso il pertugio dell’orecchio, aveva provocato a neuroni non avvezzi al linguaggio dei sussurri. Oltre che per gli effluvi di un profumo che ebbe su di lui lo stesso effetto che avrebbe su di un bambino l’aria di una fumeria cinese (deficiente! Marco…solo Marco dovevo dire! Tanto spontanea è lei, per quanto goffo sono io!. A sentire quel nome così chiaramente compitato la signora, di fronte alla quale il ragioniere era oramai giunto, gli tese con semplicità la mano dicendo: “Ed io sono Palmira, piacere.”, chiudendo così quel triangolo di anomale presentazioni prima di farli accomodare in casa.. I raggi del sole che, copioso, entravano dalla finestra spalancata sul porto, disegnavano sul pavimento d’antiche piastrelle maiolicate un sentiero luminoso che mostrava ai due visitatori la via per uscire sul balconcino. Quando furono fuori ebbero la sensazione di trovarsi in bilico su di un’alta roccia a picco sul mare e, ammaliati dallo spettacolo che avevano davanti, i loro cuori s’alleggerirono del fardello di pene quotidiane.rimasero così fermi, l’uno accanto all’altra, fino a quando una coppia di gabbiani, aliando e garrendo rumorosamente, non li riportò alla realtà. “I gabbiani non vacillano, non stallano mai. Stallare. Scomporsi in volo per loro è un disonore… – declamò soprapensiero il giovane; poi, quasi a scusarsi, -…è un passaggio de <Il gabbiano Jonathan Livingstone>” “Dovete sapere, – disse la donna anche lei seguendo il filo dei suoi pensieri , – che da questo punto della città si può salire in alto, più in alto dei gabbiani, fin sopra il cielo. Anche per una come me che ha le gambe pigre. Vi chiedete il perché? Perché si sale con il cuore. Una volta lassù, i contorni appaiono sfumati, i colori più forti si stemperano in dolci tinte pastello, i rumori si trasformano in suoni…” “Oh…- esclamò la ragazza con lo stesso stupore di quando, bambina, ascoltava le favole della nonna. – Ma , allora….” “..Perché vendo? In verità è mia figlia che ha deciso per me. Io ho i miei acciacchi e lei, che risiede al nord per motivi di lavoro, ha sempre paura che possa succedermi qualcosa. E così, partirò…Controvoglia, ma partirò. Che volete? Di questi tempi succede che, oltre ai giovani, emigrino anche gli anziani. Ma voi, almeno, rimarrete, non è vero?” ora la vivacità della ragazza era diventata compassatezza d’adulto. Aveva preso amorevolmente sottobraccio la signora e la seguiva docile per la casa. Solo quando entrarono nella piccola cucina un altro “oh” di stupore ruppe il silenzio.quello che l’aveva colpita era stata la vista di una cucina economica, di quelle in uso fino al dopoguerra, rivestita di piastrelle color cilestrino, con i fornelli di ghisa, gli sportellini per la cenere, le prese per il tiraggio. Completa di molle e ventaglio di paglia. “..Ma funziona?”. “Certo che funziona! – rispose un po’ risentita la donna, – Naturalmente con la carbonella. Però, la uso solo quando devo cuocere i legumi nella pignatta. Altrimenti c’è una cucinetta a gas in quel piccolo vano. Sapete, io sono un po’ all’antica…Pensate che per lavare le lenzuola preparo ancora il ranno. Ma, tornando alla cucina, sappiate che nell’appartamento del piano superiore, in tutto simile a questo ad eccezione delle finestre al posto dei balconi, la cucina economica è stata eliminata.” “Oh, non ha importanza. – disse la ragazza tutta infervorata. – Tanto, sopra, faremo la zona notte. Questa cucina, invece, la lasceremo così com’è. Vero Marco? Marcuccio…mi ascolti o no?” (Dio, fa che non mi tradisca proprio ora che stiamo per concludere!). “Si …sicuro”. “Che bello, – sentenziò l’anziana signora visibilmente commossa, – che bello vedervi così uniti. Si vede lontano un miglio che si tratta di una convergenza d’idee che muove da una convergenza d’ anime. Chissà quante volte avrete fantasticato sulla vostra casa e quanti giri, mano nella mano, avrete fatto. Eh? Ora , se questa s’avvicina solo un po’ a quella dei vostri sogni, né sarò felice anch’io. Vi dico fin d’ora che, se deciderete per il si, chiederò a mia figlia di venderla a voi. Penando a voi sentirò meno il distacco e magari, quando avrete il primo bambino, chissà che non venga a trovarvi…”. “Oh, grazie signora Palmira, grazie. Lei sarà sempre nostra graditissima ospite, a prescindere dalla nascita di Niccolò…E’ il nome che abbiamo deciso di dare al nostro primo figlio. – disse abbracciandola con sincero trasporto. Poi, dopo un attimo di riflessione, – Ma se sarà una femminuccia, la chiameremo Palmira. Vero, Marco caro? Dimmi di sì, ti prego…” (anche se, lo confesso, propenderei per un Niccolò con i tuoi stessi occhi). Il Marco caro, sepolto sotto quella valanga d’astruserie, annuì con uno sconsolato movimento della testa che, parsimonioso com’era, utilizzò anche come cenno di saluto visto che la visita volgeva oramai al termine. Di lì a poco si ritrovarono per strada, nell’esatto punto in cui era iniziata quella storia assurda. “Senta, Maria…o come diavolo si chiama veramente…” “Ssst! Non qui…- disse la ragazza sottovoce indicando, con il movimento del capo, il balconcino.- Ci può sentire Palmira e se ne avrebbe a male”. Presolo sottobraccio, lo trascinò quasi di peso fin sotto l’uscio di uno di quei KAOE greci che, insieme ai colorati bazar, davano alla zona portuale il tipico aspetto levantino. “Adesso signor Marco ti dico come la penso io. Allora…o mi sposi in tempi ragionevolmente brevi, nel qual caso la nostra casa avrà la zona giorno al primo piano e quella notte al secondo. Oppure, se proprio non riesci a comprendere il miracolo di quest’incontro, vorrà dire che salveremo almeno l’aspetto pratico della questione. Acquisteremo, cioè, l’intero stabile; ma, in tal caso, io occuperò il primo piano e tu il secondo. Da persone civili, poi affronteremo i problemi di un condominio forzato. Per la signora Palmira saremo, in ogni caso, marito e moglie! Allora, un bel sì o un chiaro no! C’è bisogno che ripeta?” disse con il fare della maestrina che si rivolge alla scolaresca disattenta. Ed attese, socchiudendo gli occhi (non fare lo scemo proprio adesso. Non mi deludere. Io so che ho visto bene, scegliendoti. E fai presto a decidere…Accidenti a te!) per la prima volta nella sua vita il ragioniere non ragionò, anche se qualcosa dentro gli diceva che poteva essere stato affatturato. Fissò il volto della ragazza che, proteso verso di lui, cercava di cogliere , insieme al suono, anche l’alito del monosillabo desiderato. Su quel volto, se possibile ancora più bello, scorse la fragilità di una ragazza che stava offrendo tutta se stessa (non so perché, ma sono d’accordo su tutto. Solo sul nome della bambina avrei qualcosa da ridire. Mi piacerebbe Gaia…Ma per questo c’è tempo…Ora, piuttosto, devo trovare una alternativa meno formale alla stretta di mano con cui si conclude un preliminare di vendita immobiliare. Ma come si può suggellare un patto che, alla componente commerciale, unisce anche quella sentimentale?). il cuore gli suggerì un bacio. E bacio fu, anche se un po’ maldestro. Quando ritornarono a respirare voltarono istintivamente la testa verso il balconcino della loro casa e, in quel momento, la signora Palmira agitò festosamente un braccio. Risposero al saluto alzandole mani unite come due pugili al termine di un incontro. Con la differenza che loro erano usciti entrambi vincitori. Poi, sempre tenendosi per mano, s’incamminarono lungo la banchina seguiti, dall’alto, da una coppia di gabbiani che, imitando il linguaggio dei piloti, sfarfallarono aritmicamente le bianche ali a mo’ d’approvazione. Loro, però, non li videro perché volavano ancora più in alto. Sopra il cielo…

   

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