Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Sesta edizione – 2005
Brusasco Massimo
Sulla riva della Moldova
Arrivava alle 10.30 precise. E i cigni e le anatre erano già lì ad aspettarlo, certi che sarebbe venuto, perché lui, ogni mattina, giungeva puntuale. 10.30 spaccate: avresti potuto regolare l’orologio col suo arrivo. Veniva qui, tutti i giorni, sulla riva della Moldova, a pochi passi dal ponte Palachkeho. Alle spalle il traffico di Praga, di fronte i dolci colli che qui considerano alla stregua di montagne, sulla destra i campanili della cattedrale di San Vito, che svettano dal Prazky Hrad, una fortezza che non ha niente di terribile, almeno quando il cielo praghese è di un azzurro che dà sul grigio, e non di un grigio che tende al nero.
Marek arrivava alle 10.30, sempre. In ogni stagione, col sole che avvolge senza soffocarti di afa, col nevischio, con la pioggia, con quel vento che del lungofiume è parte integrante, con la nebbia che, in certi periodi dell’anno, è caratteristica di questa città dove, come scrisse Gustav Meyrink riferendosi in particolare al tipico quartiere di Mala Strana, “non è mai chiaro e non è mai compiutamente notte”.
Marek se ne fregava del meteo. Lui aveva un appuntamento con i cigni le anatre di questo tratto di Moldova. E loro lo sapevano. E probabilmente lo sapeva anche la Moldova, che faceva da placido supporto a quell’idillio.
Sembra incredibile, oggi, a vederne il quieto scorrere, che questo fiume, nell’agosto del 2002, abbia potuto, con tanto impeto e cattiveria eccessiva, scavalcare gli argini e invadere la città, allagando le case e spazzando le cose.
Soltanto quella volta, a mia memoria, a Marek venne impedito di incontrarsi coi suoi amici, rifugiatisi chissà dove e chissà come, per resistere alla corrente, al fango, alla furia inattesa, alla ribellione della natura. Saranno trascorsi dieci giorni. In città si spalava ancora, sulla riva della Moldova, alle 10.30 di un martedì di sole che si rifletteva sull’acqua rappacificata con gli uomini, Marek poté tornare, finalmente, dagli animali.
Il solito bastone impugnato con la destra, la borsa di sempre afferrata con l’altra mano. Il rito conosciuto: i cigni che arrivano e si dispongono in posizione di attesa, le anatre che li rincorrono. E lui che, coi suoi movimenti rallentati dal cumulo di anni, spezza il pane e lancia briciole facendo fare al braccio ampie curve nell’aria. E i frammenti di mollica quasi non riescono a raggiungere l’acqua che vengono carpiti dai becchi affamati…
Il rituale si ripeteva, ogni giorno. Di sabato, di domenica, la mattina di Natale, a Ferragosto. Marek sbucava dalla Trojicka, con passo affaticato. Il bastone, la borsa. Il cappello elegante, l’abito talvolta blu, talvolta grigio, a cui si intonava una cravatta fuori moda. Con incedere approssimativo, attraversava il passaggio pedonale e scendeva per la strada che porta alla riva. I cigni erano già là, le anatre sarebbero arrivate di lì a pochissimo.
Di gente ne passava sul marciapiede lungo la Moldova. Frettolose massaie reduci dalla spesa, pensionati col cagnolino e, d’estate soprattutto, i ragazzi, quelli innamorati che si tenevano per mano, quelli che si sfidavano con lo skateboard, quelli con sulle orecchie le cuffie che sparano musica.
Marek agiva nell’indifferenza totale. Nessuno che lo degnasse di un’occhiata, nessuno che fosse attratto dal suo comportamento. Nessuno, tranne me. Io, affascinato da Praga tanto che, fresco di pensione, mi feci adottare da questa città che sembra una Parigi in miniatura, senza Louvre né Tour Eiffel, ho sempre avuto la bizzarra mania di fare collezione di personaggi. Chiese, musei, angoli caratteristici mi affascinano, naturalmente, Ma volete mettere la gente? Le facce che popolano il mercato rionale? Le smorfie di chi è costretto a stare in coda allo sportello? Il deglutire di chi, al bancone del bar, gusta un caffè troppo amaro? Le rughe di chi prega nella penombra di una chiesa deserta, gli occhi di chi, impaziente, attende il semaforo verde?
Persone. Volti. Sorrisi. Occhi. Gesti. Passi. Sguardi. Ho cominciato a scrutare la gente, qui a Praga, interessato da questi europei, che stanno a metà fra Est e Ovest. E quel signore che riuscii ad avvicinare solo dopo cento e più mattine che lo osservavo e che, a precisa domanda, mi disse di chiamarmi Marek, andandosene senza darmi tempo di snocciolare un altro interrogativo, quel signore, appunto, prese a incuriosirmi.
Arrivava dai cigni, sbriciolava il pane, lo lanciava, se ne andava con la lentezza con cui era giunto e la stessa imperscrutabile faccia (sembrava sapesse del mio hobby e m’avesse sfidato…), lo sguardo fisso verso non si capisce bene cosa, le ciglia aggrottate, una specie di broncio che non lasciava trapelare mezza emozione.
Io, da su, appoggiato al muretto che separa Praga dal suo fiume, ammiravo affascinato, non tanto da lui quanto dal suo rituale, che caricavo di significato proprio perché, tutto sommato, mi sembrava insignificante. Senza quelle briciole, cigni e anatre sarebbero sopravvissuti, ma lui, Marek, probabilmente no.
Un lunedì d’autunno, di bruma che non se ne voleva andare e di cielo grigiastro che battagliava coi colori dell’acqua, gli animali della Moldova attesero invano. Marek non arrivò.
Marek, da quel giorno, non sarebbe più venuto sulla sponda del fiume, non avrebbe raggiunto il marciapiede dopo essere sbucato dalla Trojicka, né avrebbe attraversato il passaggio pedonale, con incedere lento.
I cigni non si rassegnavano, raggiungendo inutilmente la sponda.
Lasciai trascorrere una settimana. Poi, quasi d’istinto, alle 10.30 di un martedì qualunque, decisi, senza apparente motivo, di scendere sulla riva, con una borsa di pane secco, con la pacatezza di chi non ha fretta e la disinvoltura di chi sa di essere ignorato dalle massaie che transitano frettolose, da quelli col cane, dai ragazzi e dai loro duelli a rotelle.
Gli animali non mi delusero… Fu l’inizio. Trascorsero i giorni, le settimane, le stagioni. Io, i cigni, le anatre, la Moldova, le 10.30 precise, il pane da frantumare e lanciare…
In un mattino come gli altri, mi imbattei negli occhi di un signore, all’apparenza di qualche anno più giovane di me. Stava lassù, appoggiato a quel muretto che conoscevo bene. E mi osservava con l’attenzione che mi è nota, e con la curiosità di quello che ispeziona il fare della gente. Allora cominciai a pensare al mio futuro con stato d’animo diverso.