Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Sesta edizione – 2005
Curatolo Roberto
Amore senza età
Prima o poi morirò, si, lo so che la cosa riguarda tutti, ma io lo dico perché ci sono vicina. Nel senso che anche se fosse poi, non sarebbe così in là nel tempo. Sono vecchia. Anche oggi ho dovuto scendere in farmacia a fare la spesa. Spendo più in medicine che in generi alimentari. Per fortuna che quell’angelo del farmacista – è una farmacia comunale, non illudetevi – mi misura la pressione gratuitamente. La testa mi funziona ancora molto bene. E la memoria pure. Ricordo anche i fatti recenti. Ma il fisico non c’è più. Nel tempo si è dissolto. Squagliato. In precoce via di putrefazione. Quasi nulla funziona e lo scheletro non mi sorregge più. Eppure, – direte che è facile sostenerlo ora, senza prove convincenti – eppure ero una donna avvenente. E’ un aggettivo che uso io, mai nessun uomo ti dice che sei avvenente. Si sa che gli uomini sono spesso volgari. Oppure sono talmente timidi che non spiccicano un complimento nemmeno se glielo suggerisci. Una volta un corteggiatore mi disse che gki ricordavo una pantera: gli chiesi perché e lui mi spiegò che quell’insieme di occhi verdi, capelli neri, movimenti felpati e presunta pericolosità, gli suggeriva il paragone con il temibile felino. Oggi , se penso alle caratteristiche che avevano colpito la fantasia di quel giovane, mi viene da ridere, quando sono di buonumore, più spesso piango. Gli occhi sono un magma acquoso in cui non è quasi più possibile distinguere il colore; i capelli grigi e stopposi; i movimenti sono più lenti di quelli di un bradipo e accompagnati da continui mugolii di dolore; e quanto alla mia pericolosità, beh, oramai la mantengo solo per gli automobilisti, quando avventatamente attraverso la strada. Si dice che la vecchiaia è brutta, ma non è proprio questione di bruttezza: è quel senso continuo di fragilità che schiaccia ogni giorno che resta. Fragilità totale: di ossa, di spirito, di relazioni, di legami. Eppure una volta mi sentivo così forte, soprattutto nei miei rapporti personali!lavoravo in una ditta di import-export. Come impiegata. Era un’azienda di medie dimensioni, con una ventina di dipendenti. Io – penso di poterlo affermare senza peccare di superbia – ero la più carina. Quella convinzione, che mi veniva dai riconoscimenti espliciti dei più, ma anche da valutazioni tutte mie, mi dava una particolare sicurezza nei comportamenti e nella modalità di relazionarmi con gli altri. Si, avevo una certa aggressività; intimidivo gli uomini. E chi aveva la forza di non rinunciare a ronzarmi attorno, veniva prima o poi stroncato da qualche mia battuta velenosa. Ho passato gli anni migliori a pensare che tutti gli uomini volessero solo portarmi a letto: probabilmente non ero lontana dal vero, ma con qualcuno forse ho sbagliato. Erano altri tempi, tempi di donne sottomesse, tempi di donne in cerca di marito, ma io, in un certo senso, ho bruciato le tappe della storia o forse, più semplicemente, del costume. Ero una donna decisa, indipendente, sicura di poter bastare a me stessa e convinta che non mi sarei fatta scegliere ma avrei esercitato io il diritto di scelta. E così, anno dopo anno, il tempo è trascorso senza che mi decidessi a scegliere, o più probabilmente, non ho avuto fortuna negli incontri. Quella poi non era epoca di rapporti prematrimoniali e quindi anche il lato sessuale non è stato granché praticato. E, certo, era una mancanza importante, nella mia vita di allora. Un paradosso, un’assurdità! Tutti mi desideravano, io stessa ambivo a soddisfare il mio richiamo ormonale, ma, tant’è, di sesso non ne facevo quasi per niente! Poi, col passare del tempo, ho cominciato a temerlo. Più che altro per una forma di vergogna. Si, che cosa avrei detto a un uomo che mi avesse trovato vergine, a più di trent’anni, senza uno straccio di esperienza? Cosa avrebbe pensato lui, paragonando il mio esordio tardivo a quell’immagine un po’ aggressiva, da femme fatale? Così finii per avere il mio primo rapporto a trentasei anni. Beh, lo ammetto, con tutte le opportunità che ho avuto, sono finita a letto con il mio capo, sposatissimo e del tutto disinteressato a una storia seria! Aveva passato anni a provarci senza risultato. Ma era uno che non demordeva: mi ha pescato in un momento per lui favorevole. L’estate aveva acceso le mie fantasie, l’esigenza di realizzare “quella” esperienza si faceva ormai insopprimibile. Così, in una sera di luglio, mentre sua moglie era già in vacanza, lo invitai a cena a casa mia e non fu complicato terminare l’incontro a letto. Fu una delusione totale: col buio, che pretesi, lui nemmeno si accorse della mia attempata verginità, ed io non ebbi il tempo di provare granché, considerata la scandalosa velocità con cui concluse la sua prestazione amorosa. Mi ero illusa che un quarantenne avesse più capacità di quella dei frettolosi ventenni, di cui mi avevano parlato in tempi precedenti le mie amiche alle prime esperienze. Invece questi sposati – ne ho, ahimè, frequentati altri, in seguito – hanno voglia di te, ma giunti al dunque, sono schiacciati dai sensi di colpa e, pur non rinunciando a portare a termine la loro iniziativa, la eseguono senza passione, con inaccettabile dimenticanza delle esigenze dell’occasionale compagna, con il solo desiderio di prendersi un piacere rapido che, tanto più breve è, meno colpevole risulta. La gran parte poi non li rivedi più, preoccupati che un secondo momento di intimità, possa costituire, per la donna, base per fantasie di consolidamento del rapporto. Per cui lo avete già capito, non ho avuto una vita sentimentale soddisfacente. Anzi, nemmeno accettabile. Per fortuna che, trascorsa una decina d’anni, mi sono messa l’anima in pace. All’alba dei miei quarantasette anni, ho chiuso non solo quella modesta attività sessuale, ma ho anche abdicato alla speranza di trovare l’anima gemella.proprio così, da un giorno all’altro ho detto basta: c’erano altre cosi più interessanti di cui occuparsi! Che cosa? Beh, ho svolto sempre diligentemente il mio lavoro: già, ma questo non era poi così interessante! Ho assistito con dedizione mia madre negli ultimi anni della sua esistenza, si, ma anche questo impegno non è stato entusiasmante, soprattutto quando mi occupavo di pannoloni da cambiare e di piaghe da decubito. Ho frequentato i corsi dell’Università della terza età, ma in effetti, più che seguire le lezioni, passavo il tempo a controllare le altre corsiste per verificare, come in uno specchio, il progressivo tracollo della mia lontana bellezza. Beh, qualcosa di interessante l’ho comunque fatta. Nelle serate solitarie ho letto tanto, riuscendo a non cedere alle lusinghe di stupidi programmi televisivi. E, finché le gambe hanno tenuto, ho viaggiato. Non molto, perché le mie finanze non me lo hanno permesso, ma ecco, le grandi capitali d’Europa le ho visitate. E quei ricordi, di Parigi, di Londra, di Amsterdam, mi fanno tutt’oggi una splendida compagnia. Mia sorella, che non vive più in città da quando si è sposata, ha insistito tantissimo perché la raggiungessi nel paesello dove abita, ma non ho mai veramente preso in considerazione la proposta. Chissà perché, sono sempre stata legata a questa città! Eppure la città è spietata con gli anziani come me. E via, diciamolo senza rancore! Con i vecchi come me. La città è piena di vecchi soli. Di vecchi che vivono in vecchie case da soli. Che lasciano progressivamente andare le loro vecchie case. Che lasciano progressivamente andare i loro vecchi corpi. Le tappezzerie come la pelle, cadenti. I rubinetti del bagno come la vescica, incontinenti. Le tazze come i denti, sbeccate. Gli abiti come le ossa, consunti. I vecchi si incrociano nei marciapiedi sotto casa, ma si sfuggono perché non vogliono confrontare le loro solitudini. I vecchi si odiano, perché negli altri, odiano la loro stessa decadenza. I luoghi dove i vecchi si incrociano più frequentemente è la farmacia. Lì, nella farmacia comunale vicino casa, vedo quasi esclusivamente vecchi. Talvolta, e mi commuovo, qualche mamma col bambino in carrozzina. Sono lì ad acquistare un ciuccio o il latte in polvere. Talvolta, e mi dispiace, qualche giovane con la faccia livida e tesa; sono lì a chiedere una siringa e dell’acqua distillata. Bene, in farmacia, dove c’è quell’angelo che mi misura gratuitamente la pressione, proprio lì, non so come dirvelo, non so proprio come dirlo, in farmacia ho incontrato un vecchio, come me, e di quel vecchio mi sono innamorata. In-na-mo-ra-ta. Direte che sono pazza, che sono una rimbambita, che a ottantadue anni non ha senso parlare di queste cose, direte che mi è andato in pappa il cervello, può darsi,, si, può essere che abbiate ragione, ma il fatto certo è che mi sono innamorata. Chi è lui? E’ un bel vecchio. Ha gli occhi azzurri, ancora vivaci. Nonostante l’età, ha un bel portamento. Sta su, bello dritto. Ha splendidi capelli bianchi. Probabilmente è più giovane di me, ma non di molto. I suoi abiti non sono impataccati e le sue scarpe sono sempre lucide. Credo che abbia problemi respiratori perché acquista spesso prodotti per l’asma. Anche lui si fa misurare la pressione. Una volta, mentre ero in attesa che la farmacista finisse di servire i clienti prima di procedere all’abituale controllo, mi ha fatto passare avanti. Mi ha detto: “Faccia prima lei signora. Io non ho fretta”. La sua voce era singolarmente ferma per un anziano. “E’ sicuro?” mi sono accertata. E lui: “Sicurissimo. Ho tutto il tempo che voglio. Il tempo è la mia ricchezza.”il tempo è la mia ricchezza: proprio così, ha detto. Mi è sembrata una frase straordinaria. Con tutti i libri che ho divorato, non avevo mai letto parole così profonde. Penso di essermi innamorata per quella frase. Sono rimasta lì, non so se trasognata o inebetita. Solo quando la farmacista mi ha sollecitato: “Allora , signora, venga!” mi sono risvegliata. Uscendo dallo stanzino della pressione, l’ho ringraziato. Non so se sia realmente accaduto, ma ho avuto la sensazione che in quel mio sguardo di gratitudine, i miei occhi abbiano lampeggiato, come una volta. Abbiano miracolosamente riacquistato quella potenza che stordiva gli uomini. Che li faceva invaghire. Che li eccitava. Con questo non dico che lui l’abbia percepito, dico solo che io l’ho sentito. Così da quel giorno ho avuto qualcosa, ho avuto qualcuno a cui pensare. Ho cominciato a immaginare la sua storia, costruendola con i soli poverissimi elementi che avevo. Ho pensato che fosse solo, forse vedovo, che non gli sarebbe dispiaciuta la mia compagnia. Ho ritenuto, dal suo modo di parlare e di muoversi, che fosse capace di gestire la malinconia meglio di me, che io, dunque, avevo bisogno della sua forza. Ho pensato, con un’intensità indicibile, quasi fino alle lacrime, che avrei voluto accarezzarlo sul viso. Con la mia mano nodosa, con le mie dita ormai storte. Che con quella carezza volevo trasmettergli tutto il mio residuo mondo di affetto e quello inespresso dei tanti, troppi anni precedenti. E ho pensato che non mi sarebbe dispiaciuto se lui avesse posato la sua mano, che immaginavo calda e morbida, sulla mia testa stanca e in buona parte orfana di quella massa di capelli che ondeggiavano nella mia promettente gioventù. Quella sera ondate di brividi percorsero il mio corpo; ma non erano di febbre, né – peggio – di morte. Era un brivido di eccitata attesa, di stralunata felicità. Da quel giorno, lo ammetto, ho abusato della generosità della farmacista. Le ho anche mentito: ho detto che il medico mi aveva richiesto un controllo giornaliero della pressione. E così l’ho rivisto. Più volte. Ho sperato di riacquistare , seppure per un breve periodo, la mia sfrontatezza di un tempo. Macché. Mi sono ritrovata più timida di un’adolescente imbranata, incapace di reggere il suo sguardo, balbettante ad ogni esordio di colloquio. Grazie a Dio, mi sono astenuta da ogni atteggiamento deduttivo. Temevo di cascare, inseguendo il mio desiderio di guadagnare la sua compagnia, in atteggiamenti patetici. No, per fortuna niente moine, niente occhi dolci, niente parole ad effetto. Un giorno – chissà perché – dopo aver confrontato i valori delle nostre pressioni e aver fatto qualche battuta sugli acciacchi della vecchiaia, non so come mi è uscito: “ E pensare che da giovane ero così bella!” Non so perché l’ho detto, so che appena pronunciate quelle parole, mi sono sentita ridicola. Ma lui, mentre avvampavo di un dimenticato rossore, è stato prontissimo nel dirmi: “ ma lo è ancor oggi, signora. E io non faccio complimenti. Dico sempre quello che penso. E poi la bellezza non ha età. E ogni età ha la sua bellezza.” Gli sono stata molto grata per quelle parole. Una volta a casa. Me le sono scritte. Ho preso l’abitudine di scrivere ogni nostro colloquio. E spesso mi ritrovo a ripeterli, recitando entrambe le parti, come in una specie di pièce teatrale. Questo sentimento mi riempie la vita. Mi aiuta a vivere. Eppure lui, il mio lui, non lo sa, no, non sa che io lo amo. Penso che non lo immagini nemmeno. Però lui ora è fondamentale nella mia vita! Lui è meglio di tutte le medicine che prendo. Lui mi fa stare quasi bene. Lui mi stimola ad alzarmi ogni mattina e a fare gli esercizi che mi ha insegnato la fisioterapista: devo sciogliere questa benedetta articolazione di anca e pure le ginocchia, devo continuare a camminare, perché senza camminare non potrei più vederlo. Mi è venuta più voglia di mangiare e dopo tanti anni, ho ripreso a passarmi la crema sul viso. Non nascondo che mi piacerebbe piacergli, no, non per l’aspetto, quello ormai…, ma per la mia testa e per il mio cuore. Un giorno che la farmacista mi ha detto:” ma signora, lo sa che negli ultimi tempi la vedo proprio bene!” sono stata tentata di confessarle il mio segreto. Lei, ne sono certa, mi capirebbe. Lei non penserebbe che sono svitata, che la demenza incipiente mi ha giocato un brutto scherzo. Lei è una persona sensibile. Ma non ce l’ho fatta ad aprirle il mio cuore. Le ho solo detto:” da qualche tempo sono felice, dottoressa. Si, nonostante tutto, sono felice!” Lei ha aperto la bocca in un’espressione di stupore e ha osservato: “Ma che bello!” e io ho aggiunto, un po’ cripticamente: “ Già, proprio alla fine, il destino mi sta ripagando…” Prima o poi morirò. Prima o poi accadrà. Ora che sto vivendo questa ubriacatura, sono indecisa se sia meglio prima o poi. Se sia preferibile addormentarmi con questa tremula felicità addosso e con questa sensazione illusoria di energia o proseguire la mia veglia vitale rischiando un’inconsolabile fine del sogno.