Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Sesta edizione – 2005
Melone Attilio
Il punto d’arrivo
Mi è sempre piaciuto camminare senza una meta precisa per i pascoli di montagna, proprio sul limite dove s’incontrano il verde dell’erba, il grigio dei graniti, l’azzurro del cielo ed il bianco della neve. Quella volta avevo vagabondato a lungo e scendevo lentamente, dopo avere attraversato la prima parte della foresta di larici e abeti che arriva sino a Macugnaga, quando, passando su una balza un poco più esposta, scorsi, accanto ad una baita abbandonata in una piccola radura poco sotto di me, un uomo che assomigliava al mio vecchio amico Emilio Totelan. Stava con la schiena rivolta al piccolo sentiero appena segnato che va all’alpeggio e fissava la parete strapiombante del Monte Rosa. Guardai nel binocolo: era lui. Che cosa ci faceva Emilio lassù? Non era mai stato un camminatore e, per giunta, era convalescente da una grave malattia. Me l’avevano descritto come profondamente provato: temevo, incontrandolo, di rivelare troppo scopertamente il mio turbamento. Per un attimo, quindi, ebbi la tentazione di tirare diritto, fingendo di non averlo avvistato, ma, alla fine, percorsi l’ultimo tratto di strada a grandi passi, con dentro l’ansia di fare presto, il desiderio di non arrivare mai, la speranza che non fosse lui e l’impazienza d’incontrarlo ed essere capace di fargli festa, da amico. “Emilio!” Riconobbe la mia voce e mi venne incontro salutando, magro, quasi filiforme. Era commosso come me. “Marco! Come stai?” “Bene. Anche tu hai un bel colorito. Come stai?” “Bene. Non sono mai stato male… Cioè, no… Soltanto quando hanno deciso di curarmi… I capelli mi sono ricresciuti, ma…” Mi fissava. I suoi occhi erano come smarriti: si distoglievano continuamente e si perdevano a scrutare lontano; solo un attimo, come se stessero cercando qualcosa di nascosto. “Scendiamo insieme? Intanto parliamo.” “Fermiamoci ancora un po’, se hai voglia. Mi piace stare qui… Ti stupisci? Io ero quello che non voleva mai camminare, ma adesso… Hai visto che linea? In montagna, mi è anche tornato l’appetito. Sto meglio, sto meglio…Finché dura…” S’interruppe. Avrei voluto rassicurarlo, ricordargli casi analoghi risolti con una guarigione completa, ma faticavo a trovare le parole. Ero confuso, quasi impaurito, come se, dopo una giornata sana, piena di vitalità e di forza, insieme con la sua apparizione mi fosse arrivato un ammonimento minaccioso. Gli misi entrambe le mani sulle spalle, in silenzio. “Hai incontrato un signore magro con una tuta come la tua, venendo giù?” “No. Non ho visto nessuno.” “Strano. E’ salito dalla tua parte.” Chinò il capo, ma, questa volta, sorrise. “Era vestito come piace a te. Abbigliamento tecnico. Abbiamo chiacchierato per un’ora. Pensa che sale al rifugio del Moro. Quando arriverà?” “Ci vogliono due ore da qui… se si cammina. Chi è?” “Mi sembrava di averlo già incontrato, ma lui ha detto che è la prima volta che viene a Macugnaga. Non era una fisionomia nuova… Mi sbaglio di sicuro. Ho visto tanta gente in questi ultimi tempi… Ho dei ricordi un po’ confusi.” D’istinto mi passai una mano fra i capelli. Emilio stava rivelando un’incertezza e una trepidazione che non gli conoscevo. Lui sorrise. “Sono cambiato, eh?” “Stai benissimo.” “Avresti dovuto parlare tu con quel tipo. Era la persona giusta per te.” A quel punto, il mio amico compì un gesto per lui inconsueto: con delicatezza catturò una cavalletta che si era posata su uno stelo d’erba, poi allungò il braccio ed aprì la mano. L’insetto saltò nella mia direzione, abbarbicandosi alla casacca della tuta. “Ti è finita addosso. Con tutti i posti in cui poteva saltare è finita addosso a te. Quel signore aveva ragione.” Emilio Totelan era un uomo d’affari concreto, prosaico si potrebbe dire. Di me soleva ripetere che, nonostante fossi ingegnere, avevo la testa fra le nuvole. Non approvava più di tanto la mia passione per la montagna. Non potei fare a meno di rivolgergli uno sguardo meravigliato. Lui sembrava non badarmi. “Quando sono arrivato, era già qui, seduto su quel sasso. Scriveva su un taccuino. Per un po’ non ci siamo detti niente. Subito ho pensato che fosse uno scrittore e non volevo disturbarlo, ma, poi, ho attaccato discorso.” “Bene.” Emilio, al contrario di me, si trovava sempre a suo agio con persone appena incontrate. In quell’occasione si era comportato come il solito ed era un fatto rassicurante: non aveva perso il suo spirito. “Ogni tanto s’interrompeva per guardare le montagne.”, Emilio accennò con l’indice in direzione del passo del Weisstorr, “Gli ho domandato se stesse preparando un’ascensione.” “Che cos’ha risposto?” “Quelle vie lassù sono già state scoperte e percorse, anche per noi. Noi dobbiamo andare avanti, esplorarne altre.” Mi ricordo benissimo le parole, anche se, dapprima, non ho capito quello che voleva dire. Se ci fossi stato tu… Sei più bravo di me in queste cose. “ “Io? Io l’avrei appena salutato! “Non so perché, ma, a quel punto, gli ho raccontato della mia malattia.” Io non l’avrei mai fatto. Sarei stato molto imbarazzato anche trovandomi dall’altra parte, ad ascoltare le confidenze di uno sconosciuto. “Vuoi sapere che cosa mi ha risposto? Tu, forse, riuscirai a capire meglio di me.” L’espressione del mio amico era inconsuetamente ansiosa. “Dimmi.” “Mi ha detto: ” I Walser, un tempo, hanno attraversato quei passi. Hanno avuto coraggio. Tutti noi dobbiamo avere il coraggio di percorrere il nostro cammino.” Ho pensato che avesse in mente qualche leggenda…” “Leggenda? I pellegrinaggi degli antichi montanari non sono leggende. Per quei dirupi sono passate intere famiglie. Sono vie difficili anche per noi, con tutta l’attrezzatura che abbiamo, eppure- quell’uomo aveva ragione – loro ci andavano con un coraggio incredibile. Venivano al santuario di Varallo. Te l’immagini con i vestiti e le scarpe di allora? Le donne, i bambini…” M’interruppi. Mi ero lasciato trascinare dall’entusiasmo. Le gesta degli alpigiani di un tempo che, pur vivendo a livello elementare, erano mossi da motivazioni tanto elevate, mi avevano sempre avvinto. In loro trovavo una grandezza epica, un’adesione a destini superiori ormai dimenticati, ma, forse, mi stavo abbandonando alla fantasia e il mio amico aveva bisogno d’altro. “Continua.” C’era uno slancio insolito nella voce d’Emilio. Forse per la prima volta, mi soffermai a lungo ad osservarlo come per leggere finalmente fino in fondo sul suo volto. Lui mi fissava con una curiosità febbricitante. La magrezza, affilandogli il viso ed ombreggiandogli le guance sotto gli zigomi, aveva dilatato gli occhi che apparivano come carichi di desiderio, frettolosi di ricevere immagini: era come se una voglia inquieta di bere ogni istante li spingesse a ricercare incessantemente. Le pupille dilatate facevano di continuo la spola fra me ed il paesaggio.Vi leggevo la paura, ma, il suo aspetto, invece di essere inquietante, come spesso succede con le persone spaventate, aveva qualcosa di contemplativo ed inatteso. Il tono della mia voce si addolcì. Gli sorrisi affettuosamente. “Forse, quell’uomo parlava di un cammino diverso; se ci pensi bene, la marcia degli antichi montanari era una lunga, faticosa preghiera. Credevano che fra i ghiacci ci fossero gli spiriti dei morti. Non bastava il coraggio come l’intendiamo noi, per salire lassù. Ci voleva qualcosa di più importante: una meta.” “Lassù sei più vicino a Dio?” “No. Quella è retorica. Lassù, semmai, sei più vicino a te stesso.” “Che cosa significa la traversata, allora?” “Per loro era il cammino che li conduceva al Santuario dove Dio li attendeva. Il pellegrinaggio è il simbolo dell’uomo che va verso Dio senza temere i pericoli perché confida in Lui. Oggi scaliamo per sport e per desiderio di contemplazione. Gli antichi avevano un fine più concreto. Un alpinista moderno, in definitiva, è più sognatore di un pellegrino del Medio Evo… Queste, però, sono soltanto le mie opinioni. Non sono un esperto in storia del costume, io.” “Quell’uomo ha parlato di scoperta. Ha detto che la vita è, in ogni caso, un cammino alla ricerca di una meta… “Altrimenti, non vale nulla.”… Ha detto proprio così. Sono quasi le tue parole.” “ Non so … Cominciamo a scendere. Viene tardi. Non devi prendere freddo. ” “Se tu non hai fretta, rimaniamo ancora un poco…Ha detto un’altra cosa….” Emilio continuava a scrutare la parete sud-est del Monte Rosa che cominciava ad incupire nel crepuscolo incipiente. Io interrogavo in silenzio il suo volto scavato, percorrendo con occhi incerti la figura sostituitasi come di soppiatto all’immagine prosperosa cui ero abituato; anche la sua voce era divenuta più sottile, esile come il corpo. Non osavo chiedergli di continuare. Fu lui a riscuotersi, d’un tratto. “Ti ricordi due anni fa? Era venuto a trovarti quel tuo amico… Il professore di Fisica. ” “Sì. Renzo. Siamo stati un po’ noiosi, quella volta.” Mi dispiaceva di aver costretto, in quella circostanza, Emilio ad ascoltare i nostri discorsi compiaciuti: mi sembrava di avergli sottratto del tempo. Tempo che ormai gli mancava… “Ho pensato spesso alle vostre parole, in questi giorni. “Perché proprio a me?”, mi domandavo e mi ricordavo che, per quel tuo amico, il caso era soltanto un… aiutami…Mi ricordo anche che non eravate completamente d’accordo.” “Un modo di essere della nostra ignoranza.” “Se il caso è la nostra ignoranza”, Emilio non badò alla mia smorfia, “quello che mi è successo può essere spiegato. Me ne sono accorto oggi, parlando con quell’uomo.” Cosa aveva detto quel tale? Si era almeno reso conto che Emilio Totelan andava incoraggiato? Lui e la sua dannata abitudine di attaccar discorso con tutti! “La malattia fa parte del cammino.”, ha detto.” “Tutto quello che ci succede fa parte del cammino.” “È il segnale di uno scambio fallito fra due realtà. ” “Che cosa vuoi dire?” Non desideravo che il mio amico si avventurasse per quella strada. “Gliel’ho chiesto anch’io e lui mi ha risposto che, per guarire, si deve cambiare. Bisogna recuperare l’armonia perduta. Capisci il senso?” Cominciai a passeggiare nel prato. Le cavallette fuggivano saltando in ogni direzione, ma talvolta qualcuna mi balzava addosso. Emilio stava a guardare, come affascinato e ripeteva. “Il comportamento umano, purtroppo, non è molto diverso da quello di questi insetti: spesso non ha una meta. Una malattia grave è un segnale.”, ha spiegato, “Per riuscire a guarire, bisogna trovare la direzione, la strada che ricompone l’armonia perduta. Perché è salito quassù?”, mi ha domandato.” “E tu? Cos’hai risposto” “Per stare tranquillo, per guardarmi in giro e togliermi…”, s’interruppe, scosse il capo, fece un gesto di rammarico, “ Non ho saputo rispondere in modo sensato. È che diventi una specie di fenomeno. Sono tutti lì a spiarti: se stai serio, pensano che sei preoccupato; se sei allegro, pensano che lo fai perché cerchi di nascondere qualcosa; se non dormi.… Anche quando sei solo… Per esempio, che effetto fa a te il buio? Quando mi sveglio la notte, mi sembra che non ci sia più niente da fare. Invece, quando arriva la luce… Quassù, almeno, c’è tanta luce… Mi dispiace di non averti dato mai retta: sarei dovuto venire in montagna con te… Gli ho detto che non lo sapevo perché ero venuto qua, ma che mi piaceva starci. Tu mi capisci sicuramente.” “E lui?” “La contemplazione ha lo scopo di cercare l’unità con il Creato, non l’oblio.”, ha risposto… Sai? I miei, da un po’ di tempo, sono convinti che io m’inventi gli incontri che racconto.” “Oggi, però, hai incontrato me.” “Sì. Oggi è una giornata diversa dalle altre.” Rimanemmo a lungo in silenzio. La brezza scendeva gelida dai ghiacciai. Il cielo era divenuto più limpido e solo poche nubi sottili, leggermente rosate, correvano lungo il profilo della montagna. La punta Nordend si stava colorando di riflessi aranciati e la Gnifetti fumava leggermente, come se il suo respiro si rapprendesse appena nell’aria gelata. Malinconia. Struggente malinconia al termine del vagare ostinato sul confine dove il rigoglio si trasforma nella fatica della vita che non vuole arrendersi: cammino percorso, scandito nel tempo di un mondo destinato alla fine ed incessantemente alla ricerca di una rigenerazione. Domande irrisolte nella precarietà dell’esistenza cui solo in un modo si può aggiungere la speranza: col coraggio ostinato dei montanari di un tempo, pronti ad attraversare il regno dei morti per trovare la vita. Il sole svaniva dietro alla parete che sembrava allontanarsi nell’azzurro diafano. “Andiamo, Emilio. Andiamo a casa insieme.” Lo aiutai ad alzarsi. Era leggero. Fu lui ad avviarsi per primo. Ricordo la sua figura sullo sfondo del tramonto e le nostre voci che divenivano una sola. “Amico, tu eri morto e la vita ti è stata restituita, ma quanto ti è stato donato non è più tuo…” “Hai attraversato le desolate lande della solitudine e il silenzio dell’anima ti ha preparato ad una nuova esistenza…” “Ma non ti è stata data per te.”