Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Prima Edizione – 1995
Maria Lenarduzzi
La ciclista
In principio era il Gran Premio Pneumatici Wolber. Venne poi, nel 1903, il Tour de France. Su strade sterrate si respirava polvere faticosa, si pedalava con qualunque tempo e se pioveva si sculettava sulla bici rischiando cadute delittuose.
Il I3 maggio del 1909 nacque Elysée Lamour e nella stanza dove vide la luce di certo nessuno sapeva che nello stesso giorno partiva il primo Giro d’Italia. La Gazzetta dello Sport titolava: “1. Anno! Giro d’Italia, 1. Anno, 3.000 km., 25.000 lire di premio, 166 partecipanti. 5325 lire per il vincitore!” Mentre mamma Lamour aveva le doglie, il Giro partiva dal Rondò di Loreto a Milano. I corridori portavano con sé panini, acqua e magari grappa, la stessa che beveva il signor Lamour mentre la moglie urlava. Quel 13 maggio, vicino a Peschiera, Petit Breton, vincitore del Tour dell’anno prima, mentre addentava un pezzo di pollo, cadde. Nello stesso momento nasceva a Quimper Elysée Lamour, il lungo Elysée, e questo di essere lungo fece felice papà Lamour e tutti i santi locali del Finistère e anche quelli di tutta la Bretagna.
Vennero gli anni in cui a Roma giravano lunghe macchine cariche di fez, e i pneumatici Michelin entrarono in concorrenza con i Wolber e le gomme Polack. Per quanto riguarda i telai, contro le conosciute marche Bianchi , Atala, Legnano, Fiat, Gerbi e Stucchi, nasceva la Campagnolo e con essa il cambio.
Elysée si allenava sempre, da Quimper fino in cima alla penisola del Cotentin e ritorno. Quando partì definitivamente, tutti, gridando: “Allez plus vite!”, guardarono con ammirazione quella bella bici personalizzata con le grosse iniziali del suo nome incise sul cerchio della moltiplica. Qualche ragazza lo guardò spaventata, come se vedesse lottare un angelo e un diavolo alla maniera bretone. La piccola Madelaine, la sorellina molto bella e molto mistica di Elysée, fu l’unica a rincorrerlo un po’, facendo risuonare gli zoccoli sul granito con una tonalità sorda che si trasformò in musica di nostalgia e ritorno nelle orecchie di Elysée.
Infine, davanti ad Angèle che lo attirava sempre col suo fresco corpo bianchissimo e nudo a fare il bagno a Punta Penmarch, passò più veloce del vento. Sbarcò in place Rodin a Parigi dalla sua Bretagna, insieme al suo naso lungo, adatto per il fiuto. Sportman per eccellenza, ciclista furibondo, magro come uno spiedo e biondo come una spiga di grano, un certo giorno della primavera del 1939 in cui il cielo sopra Parigi era assolutamente in disordine, cavalcando la sua dueruote, avvicinò la graziosa Mette, comodamente seduta sulla sua quattroruote. Trovandosi vicini si piacquero, intrapresero una conversazione cicloautomobilistica e dopo nemmeno dieci giorni furono marito e moglie.
Il banchetto di nozze si svolse dai Lamour, dove tutti erano bretoni veri e mangiavano e bevevano e ridevano di cose semplici e qualche volta parlavano dei loro alberi genealogici anche se, a dire il vero, papà Lamour si occupava più dei suoi prestiti presso il credito bancario che del suo passato. Il pranzo di nozze consistette in grosse e semplici portate per riempire le pance e poi piatti a base di pesce per deliziare i palati e ancora moltissimo sidro e abbastanza Muscadet per mettere il diavolo in corpo ad Elysée e alla sua vergine parigina. Nella camera da letto sopra il pergolato di lillà, in mezzo a profumi mischiati di cera, lavanda e idromele, i bicchieri erano vuoti, un po’ tristi, Elysée ubriaco morto e Mette ubriaca viva. C’era stato un gran bengala tra loro: lui le si era precipitato addosso dicendole parole da corsaro che, come segreto professionale, si era serbato per quell’occasione. Per lui, fare l’amore era cosa delicata e giapponese, da fare come un selvaggio, per lei , vergine parigina, si doveva fare al buio con semplicità rustica e superstiziosa. Comunque qualcosa combinarono, e fra tutte le stelle nel firmamento che potevano cadere quella notte, arrivò Pascale. Concepita tra colpi di cannone e lacrime di Bretagna, nacque a Parigi in rue Perchamps.
Anche dopo la guerra, Mette passò il suo tempo a coltivare manie e superstizioni, sfogandosi poi vestendo Pascale con gonne di seta rumorosa.
Nessuno si riuniva più da Pierre con scopi sovversivi e gli animi degli uomini si incendiavano ormai solo in estate, quando la radio trasmetteva le cronache delle tappe del Tour. Elysée, come ogni altro francese di rue Perchamps, accorreva da Pierre per ascoltarle tra uomini, e Pascale lo seguiva sempre. Là aveva imparato a ballare per ore al 14 di luglio, per poi ballare ogni altro giorno una danza forsennata per instupidire la gente, per rendere tonti gli uomini. Là aveva imparato a masticare cartine di sigaretta marca “Club” e a riempirle poi di tabacco.
Erano gli anni dell’ottimismo ritrovato. Anche in rue Perchamps s’era visto qualcuno di quei ragazzi inglesi con giacca corta e una stringa al posto della cravatta. Scarpe a punta. Musica di Bill Haley.
Pascale amava jeans aderenti risvoltati alla caviglia, T-shirt scollate e ballerine, come B.B., ma Mette si ostinava nel vestirla con camicie bianche e gonne plissé. Lei allora si arrangiava facendosi prestare da qualcuna pantaloni alla vigliacca e tagliando scollature vertiginose sulla schiena per mettere in risalto la sua pelle da mannequin. Era cresciuta snella e lunga, non aveva fianchi rotondi né curve alla moda., ma aveva pensieri come lampi, temperamento da fuoco di legna, capelli color ardesia, occhi incassati in splendida faccia e sorriso come mazzo di stelle. E un berretto di foggia maschile quando scendeva in cantina a fumare e a dare grasso alla bici di papà, dolce quarantenne che non cavalcava più la sua dueruote per via della moglie superstiziosa e degli amici che con allegria si allenavano con lui a bere brocche d’acqua rossa di Bordeaux. Seguendo il padre, aveva imparato ad ascoltare i discorsi degli uomini, incredibile a dirsi, quasi mai incentrati sulle donne, soprattutto quando una tappa del Tour si concludeva a Parigi.
Nell’estate in cui Pascale compì quindici anni, le tappe del Tour divennero capitoli di un meraviglioso romanzo per le sue orecchie. Le azioni sportive di quegli uomini-angeli che si tuffavano, volavano, tagliavano e aderivano alla strada assunsero un diverso significato, e Pascale imparò che tirare sacrifica, seguire è sleale e fuggire è poetico. Le radiocronache esprimevano per lei la gioia di vita e di libertà che un tempo era stata di Elysée e che ora cresceva in lei: gioia come meta da raggiungere, come paesaggio prediletto in cui sentiva di dover andare…
Il Mondiale Professionisti del 1954 si svolse a Solingen e, come ogni anno, il periodo era la fine di agosto. Da Pierre si vendevano prelibate sfoglie dai nomi di farfalla che facevano ambiente, ma non quanto il signor Lamour e i suoi compagni delle buone giornate che avevano a che fare con vini di Bourgueil dal profumo di lampone e di cui non bisogna abusare poiché nascondono sempre qualche tradimento…proprio come Pascale. Ogni tanto Elysée si alzava e facendo da satellite al tavolo ballava come l’antico Valentin,, il ‘disossato’ della Ouadriglia Realista. Finita la sua esibizione, guardò dalla parte di Pascale. Ragazzi per strada alzavano il naso in cerca di qualcuna bella con cervello pronto. Il signor Lamour divenne immobile, con un colore di ghisa sulla faccia, e faceva fatica a vivere. Gli amici tifosi dalla mente labile, vociando intorno a lui, aspettavano qualcuno che pedalasse in bello stile. La radio trasmetteva in diretta:.. “Su un circuito ondulato…15 km.. per I5 volte..”. Pascale non era affatto contenta di se stessa: tutta la mattina a litigare con Mette e poi grandi rumori in casa Lamour: tutto era iniziato con tre uova rotte. Poi ci si era messo anche il rosolato con piselli. Poi, in ordine di apparizione: una risata, una pedata e porte e chiappe sbattute. Fuori pioveva che sembrava la festa dei ranocchi. Era uscita con Elysée. Volevano darsi la mano, ma erano troppo occupati a fare le corna a quella superstiziosa e al suo pranzo con finale musicale. E adesso erano lì da Pierre.. “..Coppi indossa la sua maglia iridata. Piove e fa freddo..”. Pascale guardava fuori. C’era stato mercato la mattina, e ora era tutto bagnato. Anche Elysée guardava fuori, un po’ più lontano, e vedeva Angèle e il suo letto ad armadio di amante bretone. “..Monti attacca..Anquetil dà segni di irrequietezza.. Con lui viaggiano Bobet e Gaul..”. Il cielo sopra Pierre da blu si era fatto grigio sorcio. I lampi pettinavano le nuvole. Sul vento di quel giorno, non c’è niente da dire, perché non ce n’era. Elysée era sempre più pallido, guardava Pascale cosi sola, senza nemmeno un ragazzo per abusare con lui delle carezze dei quindici anni. La pioggia s’arrestò di colpo. Lento il rumore dell’acqua, giù dalle grondaie. Pascale aprì la porta per annusare l’odore delle pozzanghere. Passò una ragazza dai capelli umidi, e poi un DS che con un ventaglio d’acqua la bagno tutta, rendendola gradevole a prima vista… “..Coppi scivola sul bagnato… Bobet ne approfitta… Si scatena a rincorrere Schaer..Sì!..e vince!!..”
La gonna di plissé di Pascale, muovendosi in ampio cerchio, smosse l’aria e gli animi da Pierre. Basta. Non resisteva più di solo star ferma. Voleva sentire anche lei cosa vuol dire correre a testa bassa contro il vento sferzante. Il cielo era finalmente di quel blu che in francese si chiama “chapeau de gendarme”, e nella luce di quel cielo che esplodeva anche nelle pozzanghere, Pascale corse in cantina e svestì dal rosso la bici di papà. Aveva gambe ormai abbastanza lunghe per pedalare seduta sullo stretto sellino e anche se i suoi polpacci avrebbero richiesto sottane lunghe, tagliò corta la gonna plissé.
Mentre la radio trasmetteva la premiazione di Bobet, il gran Luison…”..dalla maglia iridata che Coppi si sfila esce un volto di tristezza infinita…”, Pascale, vestita in maniera non certo decorosa, saltò sulla bici, scandalizzò quei ragazzi che aspettavano una svelta ma non così tanto e fece rabbrividire di pudore il vento che, tagliato dalla sua posizione aerodinamica da professionista, fu costretto a soffiarle sulle cosce. Fase iniziale lentissima. Pavé faticoso. Un cane attraversò la strada ma non la fece ruzzolare. Le ruote iniziarono a succhiare il grigio dell’asfalto e Pascale pedalava con la regolarità leale e ottusa di un motore, senza soffrire. Eccola sola e leggera. Il sole si sottometteva anche lui alla frenesia di quelle gambe, di quei raggi, di quella catena musicale. Gli uomini la guardavano senza possibilità di distrazione, tutti convinti di aver visto passare un pezzo di sogno di quegli anni passati in cui certi pensieri erano facili da venire a galla. Le case della periferia incombevano, dunque avanti…..E subito Parigi lasciò posto alla campagna e al verde che riempirono il bordo del suo sguardo. Ancora in molti rimasero imbambolati a guardarla: bocca aperta e cocci di parole per terra, come vetri rotti. Pascale se ne accorgeva, forse per via del rumore di quei vetri o forse perché conosceva i pensieri degli uomini, pensieri uguali, in qualsiasi lingua un uomo parli, perché una cosa bella è bella in tutte le lingue. Anche quella dei poeti. Ce ne fu qualcuno che, vedendola, avrebbe voluto infilarla in qualche poesia, ma poi rinunciò: cos’è la poesia in confronto a quella visione, a quella ragazza camaleonte dai venti azzurri, madreperlacea marezzata metallica mozzafiato, capace di arrossire solo quando sollevava fango, di umore mutevole a seconda del pavé e dalle collere spaventose sulle strade in salita, felice di arrivare in discesa nel paese dell’armor e dell’argoat, del mare e dei boschi celtici, dove visse con sapiente disordine da quindicenne.
Qualche volta Pascale si immaginò anche di avere davanti qualche avversaria: argentine dalle natiche ondeggianti o ragazze dai nomi sportivi. Le superava tutte e di certo si comportò malissimo quando riuscì a rubare il ragazzo a qualcuna, rincorrendolo in bici e cantando canzoni di incredibile oscenità.
A Mette rimase l’avanzo di stoffa tagliata dalla gonna plissé. Ad Elysée il gancio sul quale stava appesa la bici personalizzata con le grosse iniziali incise sul cerchio della moltiplica, e un vago odore di catena e Muscadet.
Non so altro.