Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Prima Edizione – 1995
Ivana Cavalletti
Un asterisco grosso come una nocciola
Quando le avevano detto che il Comune avrebbe provveduto, a proprie spese, ad installare il telefono nelle abitazioni di un certo numero di persone anziane bisognose, si era subito fatta in quattro per riuscire ad entrare nella rosa dei candidati ed alla fine quel benedetto telefono era arrivato anche in casa sua.
Nella sua misera soffitta c’era ancora un vecchio tavolinetto tutto sgangherato e scrostato che, come porta telefono, poteva andare proprio bene; con tanta pazienza, qualche graffio e alcune unghie rotte, alla fine era riuscita a levigarlo e a riverniciarlo. Rimanevano ancora aperti alcuni buchi di tarli ormai morti ed una gamba che zoppicava vistosamente, ma con una bella zeppa nascosta da un vaso di fiori, tutto si sarebbe sistemato.
Aveva febbrilmente lavorato con l’uncinetto per una settimana intera e sul ripiano del tavolino era finita una splendida tovaglietta di pizzo inamidato. Ci aveva pure messo sopra le foto dei suoi figli coi nipotini, un quaderno a quadretti con la copertina a fiorellini per i numeri di telefono dei suoi figli, delle sue più care amiche, i numeri del panettiere, del droghiere, del macellaio e non aveva dimenticato di segnare in rosso quelli più importanti: il suo medico della mutua, il pronto soccorso ed i vigili del fuoco e per finire aveva sottolineato in nero ed aveva fatto un asterisco grosso come una nocciola accanto ad un numero prefissato dallo 0522.
Una delle tre seggiole della cucina era stata sacrificata per il telefono e, a differenza delle altre, si era arricchita di un bel cuscino di panno rosso, In seguito era stato aggiunto anche uno sgabello per i piedi, perché gli spifferi che entravano dalla porta del balcone rendevano il pavimento troppo freddo per le sue povere estremità sempre gelate.
I primi giorni erano stati i più belli ed emozionanti.
Aveva chiamato, anche più volte al giorno, il suo Nanni e la sua Angioletta, aveva pianto di gioia sentendo la voce dei suoi nipotini ed aveva girato la cornetta per tutta la cucina per fare in modo che quelle voci si stampassero indelebilmente su ogni parete e mobile del suo misero appartamentino,
Aveva chiacchierato per ore ed ore con le sue più care amiche che non rivedeva e risentiva da anni, poi era iniziata l’attesa.
Finite le sue poche faccende di casa, non osava più fare il suo solito giretto quotidiano per paura che nel frattempo qualcuno potesse chiamarla al telefono. Aveva, invece, preso l’abitudine di sedersi sulla sedia dal cuscino rosso, accanto al suo telefono, e le mani che prima rimanevano immobili e tranquille sul grembo in attesa di stringere il ricevitore e tormentare il filo piano piano si erano rimesse a lavorare a maglia o all’uncinetto. Anche la radio, che era stata messa in camera da letto, ora era ritornata a far parte dell’arredamento della cucina. La sedia col cuscino rosso da qualche tempo era sempre più inusata e qualche giorno quel benedetto telefono aveva conosciuto anche l’odore della polvere.
Perché nessuno la chiamava? Perché nessuno si ricordava di lei? Eppure tutti quelli che conosceva avevano avuto il suo numero di telefono. Anche i suoi figli, però, potevano chiamarla qualche volta…
Ricordava con struggente nostalgia le prime settimane, quando il suo povero e vecchio cuore sussultava gioioso allo squillo improvviso ed inusitato di quell’apparecchio e proprio quando sembrava che ormai ci si fosse abituato, piano piano quel telefono aveva smesso di suonare ed ora era quasi sempre lei a chiamare gli altri.
La mano che si allungava gioiosa e sicura ad alzare il ricevitore si era fatta sempre più timida ed ora quasi si vergognava del desiderio di parlare con qualcuno al di là di quel benedetto telefono.
Anche in quel freddo ed umido pomeriggio invernale il suo sguardo era caduto più volte sul vecchio tavolinetto, ancora una volta le dita secche e rugose avevano tolto un velo di polvere invisibile da quell’oggetto sempre più muto ed avevano steso un’inesistente piega dalla tovaglietta sempre più ingiallita. La sedia era stata rimessa a posto per l’ennesima volta ed il cuscino lisciato e squadrato una volta di troppo quando… improvvisamente uno squillo l’aveva fatta sobbalzare, aveva istintivamente allungato la mano tremante verso il telefono, poi si era accorta che avevano suonato alla porta: era il postino che le consegnava un espresso.
Riceveva così poca posta che la cosa la meravigliò ed incuriosì al punto da farle tremare le mani nodose mentre cercava un coltello per aprire la busta. Aveva sempre paura di ricevere brutte notizie perché‚ negli ultimi tempi, a parte i rari auguri di Buon Natale e Pasqua, non aveva ricevuto che notizie di malattie, morti e funerali.
“Mia cara Maruska, …”
La lettura della terza parola le fece l’effetto di dieci caffè ristretti bevuti tutti assieme: sentì il cuore batterle in gola, cominciò a sudare e le gambe le si indebolirono.
Sedette pesantemente sulla sua sedia dal cuscino rosso e calde lacrime cominciarono a scenderle sulle guance avvizzite.
Solo una persona l’aveva chiamata così in tutta la sua vita : “Non mi piace Maria, è troppo comune, troppo banale: io ti chiamerò e per me sarai sempre la mia Maruska!” e poi l’aveva baciata.
Ricordò per la millesima volta quel primo vero bacio d’amore.
Aveva sedici anni e Carlo diciannove. Dovevano vedersi di nascosto perché‚ il loro era un amore impossibile: lei figlia di benestanti proprietari terrieri in un piccolo paesino emiliano, lui muratore in un’impresa di costruzioni.
Si erano sempre conosciuti senza mai frequentarsi per le differenti condizioni sociali, fino a quando l’amore aveva prevalso sulla ragione ed i buoni principi morali. Si erano pazzamente innamorati e si erano visti di nascosto per diciotto splendidi mesi fino a quando, per un banale incidente, era scoppiato lo scandalo.
Ricordò sorridendo quante botte aveva preso da suo padre, le sberle e le parolacce di sua madre; tutto il paese parlò del loro amore clandestino: lei fu messa in collegio, Carlo perse il lavoro e si trasferì in una grande città del nord in cerca di un altro lavoro.
Poi anche per la sua famiglia gli eventi precipitarono: dovettero vendere un poco alla volta tutti i terreni, la casa padronale e perfino alcuni mobili; andarono a vivere in poche stanze nella città vicina, lei interruppe gli studi e fu assunta come impiegata in una grande industria.
Conobbe Giovanni, un onesto operaio metalmeccanico, si sposarono senza tante cerimonie, tanti soldi e tanto amore e vissero relativamente tranquilli. I suoi figli si sposarono, il suo Giovanni morì esattamente undici anni fa e lei rimase sola con metà della pensione che il marito le aveva lasciato.
“… finalmente sono riuscito a rintracciarti: ho avuto il tuo indirizzo dalla Maria Elena, alla quale hai telefonato circa due mesi fa…”
La sua mano incerta e tremante si protese verso il telefono e le sue secche dita sfiorarono con tenerezza quel benedetto apparecchio.
“Ho saputo tutto di te e mi dispiace veramente saperti sola e lontana dai tuoi figli. Purtroppo anche a me le cose non sono andate molto bene, però sono riuscito a mettermi via un po’ di soldi, a ritornare qui in paese e a comprarmi un bell’appartamentino. Anch’io, sai, mi sono sposato, ho avuto una figlia che, però, invece non si vuole sposare, pensa solo al lavoro, lei ed ora vive a Bologna e fa la dottoressa all’Ospedale Maggiore. Mia moglie mi ha lasciato tre anni fa: è morta di infarto. Vedessi com’è cambiato il paese … Ho saputo che sono più di trent’anni che non ci torni! Non lo riconosceresti più: case nuove, condomini, la vecchia chiesa, la scuola… tutto, è cambiato proprio tutto!
Mia cara vecchia Maruska, non ti dispiace vero se ti chiamo ancora così? Questo è il mio numero di telefono 0522/…”
Conosceva quel numero a memoria, anche se le piaceva sottolinearlo in nero ed evidenziarlo dagli altri con un asterisco grosso come una nocciola.
Sorrise melanconicamente, pensando a quante follie aveva fatto in quegli anni per riuscire ad avere notizie del suo grande amore. Non lo aveva mai dimenticato, era sempre riuscita a sapere dov’era, cosa faceva e come se la passava, ma non aveva mai avuto il coraggio di farsi viva con lui forse per la tremenda paura che il suo Carlo non ricordasse più quei meravigliosi diciotto mesi. Invece…
“Sarebbe bellissimo potersi risentire e, perché no, magari rivedere. Io non ho mai preso la patente e quindi non ho la macchina, ma mi hanno detto che a questo mondo esistono ancora i treni e gli autobus. Ho anche il tuo numero di telefono, ma vorrei tanto che fossi tu, se lo vuoi, a chiamarmi. La vita che faccio ora è tanto triste e vuota, ho ancora qualche vecchio amico col quale faccio una partitina a carte la sera al bar, ma durante il giorno mi sento tanto triste e solo!”
Già, perché lei no? Lei non era triste e sola?
Scoppiò in un pianto dirotto ed angosciato, le sue mani strinsero nervosamente quella lettera e la stropicciarono fino a romperla in più punti. Con rabbia ricordò tutte le volte che aveva avuto la tentazione di mettersi in contatto con lui, di scrivergli, telefonargli, rivederlo…
Improvvisamente sorrise, si asciugò il mento, lentamente riaperse le lettera, sospirò brevemente una, due, tre volte, si asciugò l’ultima lacrima, deglutì a fatica ed allungò sicura la vecchia mano per formare un numero, quel numero che decine di volte nella sua solitudine, nelle incertezze, nel dolore aveva cercato di formare.
Il giorno dopo la tovaglietta era ritornata bianchissima ed il telefono sembrava avere fatto il bagno nello smalto lucido della lacca trasparente.
Il portaritratti del Nanni e dell’Angioletta con i nipotini era stato spostato verso la finestra e risplendeva come il cristallo più puro.
Sul quadernetto a quadretti con la copertina a fiorellini spiccava una frase scritta in rosso e a grandi caratteri un po’ incerti:
“Signore, mio Dio, Grazie! Sono tanto felice!”