Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Ottava Edizione – 2009
Claudio Alvigni
Cinque missioni
Cadde a terra a Casablanca, Saint Ex. Era l’alba del 5 dicembre, venerdì. Era la prima volta.
Così almeno credevano gli amici in compagnia dei quali rincasava dopo una notte di sigarette, giochi di prestigio con le carte sui tavoli del “Malrodor” e buon cognac. Era la quinta, considerò in silenzio, Saint Ex risvegliandosi. Le altre quattro era completamente solo e in fondo, nemmeno così ubriaco.
Che diavolo stava accadendo? E perché proprio a lui? Ad un tratto la luce si spegneva, buio profondo allora e assenza del corpo che, senza peso, prendeva a levitare leggero nell’aria. Il piede non trovava più il terreno e Saint Ex, annaspando e sgambettando affannosamente, precipitava angosciato nel nero. E ricordi poi, nessuno.
Trascorse un giorno intero a letto l’aviatore-scrittore, un po’ a smaltire la sbornia e l’angoscia della caduta e un po’ a recuperare le forze perdute.
La mattina del sabato si alzò assai presto e tremante mise piede nella veranda piena di piante e di luce della sua casa africana. L’atmosfera velata e bella della città e quella nebbiolina sottile che arretrava a vista d’occhio dinanzi al rapido montare del sole, gli scaldarono il cuore.
Si fece coraggio allora, si sforzò di dimenticare, cancellare quella brutta storia. Si rasò con cura, meticolosamente poi, pallidissimo e vagamente a disagio nell’uniforme che indossava solo di rado, si recò al Quartier Generale della base aerea di Cape Codì.
Non era un giorno come gli altri.
L’esito favorevole delle ultime visite mediche, Saint Ex lo doveva al suo vecchio amico e compagno di bevute Bruòn, il burbero carissimo dottor Bruòn, uomo dal cuore d’oro e dalla condivisa passione per il volo e il cognac d’annata. Aviatore egli stesso in gioventù e uomo in disarmo in quel lembo di territorio africano, si era prestato, brontolando solo un po’ , a “limare” qua e là i dati più critici delle analisi dell’amico. Superato così quel primo, fondamentale scoglio e riconquistata, almeno nella lontana Casablanca, l’idoneità al volo, le chances di Saint Ex di tornare per davvero a vedere le nuvole dall’alto, dipendevano adesso dal valore che il Comando Interforze di Parigi e il suo Capo, il temuto generale Gulmàt, avrebbero dato a quel giudizio: prenderne atto ratificandolo, e confermare così l’idoneità certificata da Bruòn, o rigettarlo e chiedere nuovi esami da svolgersi, questa volta, nella capitale.
Ecco allora che l’appuntamento fissatogli per le 11 dal capo della Cancelleria, colonnello Rivière, con il generale Douhèt, assumeva un’importanza pari, se non superiore a quello, collocato nel futuro e dunque del tutto incerto, con Gulmàt a Parigi.
Nella Capitale Saint Ex poteva contare solo sull’appoggio di quei pochi amici che, a vario titolo, esercitavano ancora qualche influenza sull’Esecutivo e di un piccolo quanto combattivo gruppo di politici che, da quel ritorno al volo, avrebbe tratto vantaggio.
Senza considerare poi che il Presidente, quell’uomo alto come e più di lui, certamente non lo amava e dalla maggior parte degli ufficiali dello Stato Maggiore era visto come il fumo negli occhi.
Ma, vacci piano amico mio! – si ammonì Saint Ex – una cosa alla volta.
Rivière e Douhèt, ultimi sinceri ancorché discreti amici su cui poteva fare affidamento tra gli alti gradi, paventavano in cuor loro l’eventuale giudizio favorevole di Parigi e il conseguente ritorno al volo del loro malinconico amico, quanto e più dell’esagerata quantità di cognac che lo vedevano consumare la sera al “Malrodor”.
Rivière lo ricevette alle 10 e 45. S’informò ancora, seppur brevemente, del suo stato di salute poi, in un estremo tentativo di scongiurare quella che considerava una vera follia, chiese per l’ennesima volta all’amico se era ancora così fermo nella decisione presa o se, per caso, non pensava di essere più utile al Paese sfruttando il suo talento letterario e la sua fama di aviatore. Infine, vista l’inutilità di quei suoi ultimi sforzi, alle 11 in punto lo introdusse rassegnato nell’ufficio di Douhèt.
Questi, prima ancora che Rivière lasciasse la stanza, e come profondamente stizzito, comunicò seccamente a Saint Ex, la tanto attesa notizia: “Idoneo”! A Parigi avrebbe ricevuto più dettagliate quanto precise istruzioni, ma intanto una cosa già da quel momento poteva dirgliela: non solo avrebbe volato di nuovo, ma addirittura sul nuovissimo P – 38 americano!
Nonostante l’età e gli acciacchi (sforava abbondantemente, con i suoi quarant’anni, il limite di trentadue imposto dagli alleati sul nuovo velivolo) avrebbe preso parte al conflitto e combattuto ancora per la sua Francia. D’un tratto Saint Ex si sentì leggero come una farfalla.
Confuso e incredulo, ringraziò farfugliando il superiore il quale, dal canto suo e nonostante i regolamenti militari davvero non lo prevedessero, non si sottrasse più di tanto al suo goffo tentativo di abbraccio e lo congedò poi rapidamente, colpito più dalla propria personale commozione che dall’impaccio dell’omone dalla faccia di bambino vecchio che gli stava davanti.
E ora: – si disse Saint Ex uscendo al galoppo dal Quartier Generale – a Parigi!
La sera, come in preda ad una sottile febbre d’esaltazione, volle festeggiare il buon esito dell’incontro con Douhèt e congedarsi dai numerosi amici della base. Fece così il giro delle abitazioni per gli ufficiali sposati e quello dei locali notturni per gli scapoli. In breve, e ancor prima della mezzanotte, era nuovamente ubriaco.
La mattina dopo, le ossa rigide e pesanti come la pietra, la bocca impastata e amara, aprì gli occhi nella luce dorata che filtrava dai vetri della minuscola terrazza di Lucine, la bellissima mulatta, reginetta del “Malrodor”, che in quei mesi, proprio come Rivière e Douhèt, ma usando armi ben più efficaci e micidiali, aveva cercato di tenerlo lontano dalla sua fissazione. Sconfitta come gli altri nei suoi tentativi di scongiurare un’eventualità che anche lei considerava una vera e propria sciagura, si era dovuta infine accontentare solo di averlo con sè per quella che, n’era certa, sarebbe stata la loro ultima notte.
Sulla terrazza di Lucine, mentre il petto gli si apriva di nuovo come a voler respirare e prendere tutto l’orizzonte, Saint Ex aveva sentito la vita tornare e il sangue, alla faccia di tutte le sbornie, scorrere nuovamente dolce e forte nel corpo. Depressione e cadute nel buio sembravano così lontane! Dimenticate addirittura; quasi non riguardassero più lui ma un altro. Era arrivato ad un tal punto d’esaltazione e benessere che per un attimo aveva considerato addirittura la possibilità di… smettere di bere!
Poi, verso mezzogiorno, lasciata Lucine in lacrime, Saint Ex si trasferì di corsa a casa. C’erano i bagagli da preparare. Di lì a poche ore, infatti, il volo 555 dell’Air France, lo avrebbe portato, via Barcellona, a Parigi.
Così Saint Ex lasciava la sua Africa, così andava incontro al suo destino; felice come mai gli era capitato di essere negli ultimi anni.
A Parigi, un colpo tremendo: “Cinque voli Maggiore Saint Ex! Cinque missioni!” Sentenziò seccamente Gulmàt, scandendo ad una ad una le parole che, come sassi, caddero sul lucente pavimento di marmo rimbalzando sonoramente e rotolando poi piano fino ai piedi di Saint Ex che, annichilito, chinò istintivamente il capo ad osservarsi la punta delle scarpe.
La luce soffusa che filtrava dalle tende dell’immensa finestra dalla quale, dandogli le spalle Gulmàt, dritto e immobile gli parlava, avvolgeva l’alto militare di un’aura trasparente illuminandogli il capo e conferendo alla sua figura un che di solenne, ieratico; freddo angelo vendicatore. Al vecchio e rigido soldato che riconosceva dignità e valore d’arma solo alla Fanteria, quel tipo così fuori degli schemi, quell’aviatore, non era mai andato a genio. Non ne tollerava la fama e gli invidiava poi sommamente quello scrivere che peraltro, in pubblico, sosteneva essere una totale sciocchezza, attività di nessuna utilità per il Paese e forse, addirittura dannosa. Senza contare poi che non meno lo infastidiva (forse anche di più) il tanto, troppo successo che Saint Ex riscuoteva ancora presso il pubblico femminile. Tutti quei giovani cuori che battevano per lui! Un aviatore, un soldato come quello, era un vero pericolo – considerò ancora una volta tra sé e sé il generale – uno che invece di stare attento e concentrato alle manovre, scriveva strane storie e che, inaudito! sosteneva di farlo, qualche volta, addirittura in volo. Esempio disdicevole e da biasimare, egli andava combattuto; e con ogni mezzo.
Ma tant’è, il vecchio militare dovette comunque, e almeno in parte, fare buon viso a cattivo gioco. Saint Ex, a dispetto anche e soprattutto di se stesso, era ancora un eroe popolare e non era certo possibile ignorare del tutto la pressione esercitata a sostegno della sua causa, da quel gruppetto di parlamentari e da una piccola ma significativa parte della stampa. Ciononostante, anche su una vicenda che per la prima volta sembrava sottrarsi al suo controllo, Gulmàt riuscì ad apporre il proprio marchio. Il sigillo. Aggiunse infatti di suo pugno, all’autorizzazione presidenziale, una piccola quanto trascurabile ed apparentemente insignificante clausola. Un limite che era nella sua facoltà porre e che si affrettò con gioia a porre: cinque missioni.
Saint Ex aveva solo quarant’anni, era pieno d’acciacchi e di gloriose ferite e spesso il solo issarsi a bordo e sistemarsi ai comandi era una tortura. Poi però, una volta imbracato e costretto al sedile dalle cinghie robuste, mentre dava potenza e correva sul prato per staccarsi sobbalzando da terra, si lasciava andare ad un’allegrezza genuina e rideva come un bambino abbandonandosi all’assurdo baccano del motore come ad una magnifica musica.
Una volta in volo poi, la sua capacità di lavoro e la resistenza alla fatica e al sonno, erano addirittura leggendarie.
“Cinque missioni” ripeté inebetito e incapace di sollevare lo sguardo da terra.
Il colpo in pieno petto lo fece barcollare e Saint Ex si trovò, senza accorgersene, ad arretrare. Quelle parole frantumavano in un solo attimo la gioia e il benessere recuperati con tanta fatica.
La vita dunque tornava, è vero, ma solo per consegnarlo alla più crudele e inaspettata delle beffe: cinque missioni.
Non era più l’orizzonte che qualche giorno prima si era riaperto sul mare di Casablanca, non era il sangue che era tornato a scorrere rapido nel corpo facendolo sentire giovane e desideroso di respirare a pieni polmoni l’aria del mattino. Era solo e semplicemente la fine, quella fine che conosceva così bene e che gli camminava accanto da tanto, troppo tempo. E che per un attimo, su quella terrazza di Casablanca, non gli era sembrata poi, così ineluttabile. Ma, cinque missioni.
E poi? E allora? Si domandò Saint Ex mentre sulle sue spalle scendeva, lentamente ma inesorabilmente, un peso immenso. Il sapore amaro della depressione gli impastò la bocca e le gambe, che poco prima avevano volato sfiorando appena le grandi scale del Comando Generale, divennero di piombo, si mossero lente, a fatica. Poi, senza rendersene conto: “Cinque cadute” mormorò, “cinque missioni!”.
Eppure di quelle cadute improvvise nessuno sapeva! O meglio, perlomeno quattro di esse erano note solo a lui. E allora perché proprio quel numero?
Tramortito Saint Ex si trascinò fino al solito caffè, trovò qualche vecchio amico che non mancò di canzonarlo perché non l’aveva mai visto prima in uniforme e si sarebbe di certo messo a piangere se non si fosse ubriacato prima. Bevve con ferocia, con metodo, con ostinazione: si annientò. Dovettero portarlo via di peso Mermòz e Guillaumet, i fedelissimi, gli amici di sempre e di una vita i quali, una volta giunti a casa, preoccupati per le condizioni dell’amico, chiamarono un’ambulanza che, nonostante le sue confuse e disordinate proteste, lo trasferì rapidamente in ospedale dove fu immediatamente ricoverato e sottoposto alle cure del caso.
Per quattro giorni Saint Ex giacque in letto come morto. Poi, all’alba del quinto, alzatosi all’improvviso, salutò tutti e barcollando abbandonò l’ospedale, incurante degli strilli e delle proteste dei medici che non ne volevano sapere di dimetterlo e degli amici che lo invitavano alla prudenza.
Ma era atteso ad Ajaccio cinque giorni dopo e se la notizia del suo malore e del conseguente ricovero fosse giunta all’orecchio delle autorità militari o peggio, fosse divenuta di dominio pubblico, anche quelle misere cinque missioni (delle quali peraltro era l’unico a sapere) sarebbero evaporate come la nebbia del mattino a Casablanca.
Consuelo, (per fortuna! considerò tra sé e sé Saint Ex) era in Sud America dalla famiglia e Lady Galverstone in Olanda per certi suoi affari. Non dover salutare nessuna delle sue amiche, ma solo i carissimi Mermòz e Guillaumet, gli facilitò non poco la partenza.
Così, venerdì cinque gennaio, alle cinque di sera, l’aereo dello Stato maggiore con il ministro della guerra a bordo, decollò da Le Bourget con destinazione Ajaccio.
Il potente uomo politico, durante il volo, volle parlargli. Conosceva Saint Ex solo di fama e di fronte a quell’individuo altissimo e pallidissimo che rispondeva a monosillabi alle sue domande e che non faceva nulla per dissimulare fastidio e noia, rimase assai interdetto e alquanto piccato. Ma fece anche lui buon viso a cattivo gioco; si trattava pur sempre di Saint Ex, l’eroe della Patagonia, il trasvolatore delle Ande, l’autore di libri d’incredibile successo. Certi atteggiamenti gli erano ancora consentiti.
Giù a terra intanto, nella nuovissima base aerea di Ajaccio, tra i giovani aviatori, da quando si era sparsa la notizia del suo arrivo, c’era grandissimo fermento e incontenibile entusiasmo. Saint Ex, la leggenda vivente, avrebbe camminato tra loro e … imparato da loro!
E Saint Ex camminò tra loro e imparò da loro, sottoponendosi, come l’ultimo degli allievi, a tutte le prove cui un troppo zelante e perfetto sottotenentino lo sottopose (si seppe poi che era stato lo stesso Gulmàt a designarlo quale suo istruttore), con l’intento, neanche troppo nascosto, di umiliarlo. Ma il pur depresso e pallido lungagnone ne venne in qualche modo fuori. L’istinto ebbe ancora una volta la meglio su numeri, tavole e grafici, su regolamenti e pagine di manuali. Pilotò il P – 38 con insolita diligenza cura e attenzione, tenne a bada la sua leggendaria distrazione e superò regolarmente tutte le prove previste per il decollo. E nel tempo stabilito.
Giunse così il giorno del suo primo volo da solista, senza istruttore dietro le spalle.
Saint Ex tornava dunque ad arrampicarsi sugli alti muri del mondo, più su di quanto mai avesse fatto prima, inebriato dalle insolite, spettacolari visioni che le prestazioni della nuovissima macchina gli consentivano.
E giunse infine anche il giorno della sua prima missione operativa. Sorvolare il territorio a sud di Lione, sfuggire ai caccia tedeschi e fotografare obiettivi strategici; rientrare poi con il carburante residuo prima del tramonto.
Nessuno, nemmeno il comandante della base, sapeva del limite imposto da Gulmàt a Saint Ex il quale, incastrato nel posto di pilotaggio, avvicinandosi alla pista, si guardò triste la mano avvolta nel nero guantone da volo. E le cinque dita che, senza sapere perché, teneva dritte e stese davanti agli occhialoni. Conclusa la prima missione, trotterellando verso l’hangar n° 5, aprì ancora il palmo della mano e stese nuovamente le dita. Poi, ripiegato il pollice, fissò sconsolato le quattro dita rimanenti. “Meno una!” pensò. Ancora quattro. E poi tre e poi due e poi …
E poi venne il giorno dell’ultima missione. Il giorno dell’ultimo volo del gigante malinconico.
Saint Ex partì con il suo segreto e sorvolò in silenzio il mare, lo sguardo fisso davanti a sé. E non fece ritorno. Sparì portando con sé la mutilazione di Gulmàt, il piccolo limite, cinque missioni. Non fece ritorno, e non fu abbattuto. Anche il mignolo si ripiegò lentamente sul palmo della mano, le missioni finivano. E il cielo sul mare di Nizza era dolce e bellissimo.
Claudio Alvigni
Nato a Vevey, Svizzera, dove, a seguito della partecipazione del padre alla Resistenza, la famiglia si era rifugiata, Claudio Alvigini vive e lavora a Roma.
E’ cresciuto, negli anni della ricostruzione, nei campi d’aviazione accanto al padre, ufficiale pilota dell’Aeronautica Militare. Vive l’adolescenza a Palermo e, subito dopo la maturità, si trasferisce a Pozzuoli (Na) per frequentare il corso “Borea 3°” presso l’Accademia Aeronautica Militare dove consegue il brevetto di Pilota d’Aeroplano. “Dimesso d’autorità” dopo poco più di un anno, per incompatibilità con l’istituzione militare, si trasferisce a Roma dove prosegue l’attività presso la Scuola di Volo dell’Alitalia.
Aviatore professionista per più di quarant’anni, ha lasciato la compagnia alla fine del 2004. E’ stato per lunghi anni comandante di Boeing 747.
Nella sua poetica, le suggestioni legate al volo si intrecciano con la ricerca della dimensione interiore dell’uomo e del senso profondo dei rapporti interumani.
Pubblicazioni:
L’inconcepibile esercizio, in Il sogno della farfalla, 1997, anno VI, n° 2, saggio in cui l’autore riunisce le riflessioni fatte in più di trent’anni di attività sul rapporto dell’uomo col volo.
Visita in città, Nuove Edizioni Romane, Roma 1998, poesie.
La casa col terrazzo, Edizioni La camera verde, Roma 2002, poesie.
Ulàn Batòr, Edizioni Helicon, Arezzo 2005, poesie.Trafficante di colori, Lieto Colle, Como 2007, poesieI