Narrativa – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Ottava Edizione – 2009
Secondo premio
Carlo Favot
Le due caravelle
È dura comunicare con un compagno di viaggio mediante un fischietto.
Attraverso un codice che deve per forza di cose essere sintetico, veloce ed efficace al tempo stesso. Non un linguaggio vero e proprio e nemmeno una sorta di alfabeto Morse. No, quello no, sarebbe impensabile.
Ma con un insieme di segnali fatti di suoni semplici ed immediati, tipo:
Un fischio breve – Segui la mia traiettoria
Due fischi brevi – Avvicinati, dobbiamo girare
Un fischio lungo – Frena!
È questo il nostro lessico, una sorta di linguaggio binario predisposto per adattarsi al nostro particolare modo di procedere. In fila indiana, uno avanti e l’altro a seguire. Vicini, ma non troppo, a cinquanta centimetri uno dall’altro.
Affiancati mai.
Questo non è possibile. Claudio non potrebbe permetterselo. Figuriamoci. Quello che stiamo facendo è già di per sé un irragionevole azzardo.
Claudio in bicicletta c’è sempre andato poco, solamente su strade conosciute e con gente fidata ad accompagnarlo. Un onesto, ma caparbio andirivieni che gli ha permesso di imparare a memoria ogni buca, ogni salto, ogni smagliatura d’asfalto dell’unica strada che attraversa il suo paesello di campagna. Nulla più. Questo perché ciò che lui distingue è fatto esclusivamente di contorni e di sfocature. E solo di quelle figure che gli stanno vicino, perché man mano che un’immagine s’allontana dai suoi occhi questa inesorabilmente svanisce. È costretto allora ad inventarsi la realtà interpretandola dalle parole di chi gli sta accanto e dando fondo alla sua fervida immaginazione.
Ora però Claudio ha detto basta. Dopo una vita trascorsa dietro ad un bancone da centralinista ha deciso di segare le sbarre di una quotidianità implacabile nei confronti di un portatore di handicap per provare a spiccare un volo. Per arrivare fin dove è possibile inebriarsi di quelle vertigini che solo un’inedita libertà sa regalare. Una libertà voluta per conoscere il mondo, cercata per stare in mezzo agli altri, bramata per viverla alla stessa maniera di tutti.
In bicicletta comunque, perché questo è l’unico mezzo che può condurre con una certa autonomia, rifiutando perfino il tandem per non far da zavorra a chi guida. Sulle strade e non in un ulteriore apartheid come lui, con un giudizio forse un po’ affrettato, definisce le piste ciclabili.
No. Lui vuole la strada, quella di tutti, vuol sentirsi gente tra la gente, dimenticandosi del suo essere un altro. Vuol conoscere il mondo Claudio. Nuovi luoghi, nuove voci, nuove sensazioni. Ed è davvero tutto nuovo per lui, lungo queste strade di Spagna arroventate dal sole ed intrise di una prorompente mediterraneità. Già dal primo istante. Fin dal momento dello sbarco a Barcellona, città che si dimostra subito ben diversa dal suo rassicurante Murlis, il minuscolo borgo nel quale Claudio è nato ed ha vissuto trent’anni di tranquillo tran tran. La chiesetta, il bar, le case sparse, le cento anime che si conoscono tutte e che lo salutano sempre quando, bicicletta alla mano, si avventura verso quei grandi spazi che gli regalano le distese dei magredi delle pianure friulane e le spianate delle grave che planano verso l’orizzonte.
Sì, Barcellona è diversa. Accidenti se è diversa. Una differenza forte, possente, quasi violenta, che non va assolutamente sottovalutata. Barcellona è confusione che frastorna, è traffico che imbriglia, è gente che si muove e non sta mai ferma un momento.
Ecco il perché del codice col fischietto.
Non una trovata da eccentrici alternativi, ma una necessità. Stravagante forse, ma dannatamente utile. Per sentirci, per chiamarci, per restare uniti.
E’ dura la prima giornata in terra straniera, impegnata a far scorrere via veloci le caotiche Ramblas e l’interminabile avinguda Diagonal, a slalomeggiare tra bancarelle e turisti, imbonitori e prostitute. A schivare autobus e taxi. Poi, sul far della sera, con la testa stordita e l’ago della nostra bussola interiore che gira all’impazzata, guadagniamo la periferia ed un giaciglio per la notte.
Ora siamo qui, seduti su un tronco, in posizione elevata, su un’altura al limitare di uno strapiombo sul mare. L’aria è fresca e leggera e ci arriva diretta in viso portando con sé il sapore del salso, dandoci quasi l’impressione di stare ritti sulla tolda di una nave. Ogni tanto ci scambiamo qualche parola interrompendo così i racconti che in questo momento il silenzio sa narrare meglio di noi. Claudio mi confessa di sentirsi come un esploratore, un navigante alla ricerca di nuovi approdi.
E un po’ uomo di mare lo è davvero.
Mi viene alla mente Cristoforo Colombo costretto ad attraversare un oceano per assecondare la sua sete di avventura. A Claudio invece è bastato un braccio di mare perchè la sua vedetta interiore cominciasse a gridare -Terra!-. E ora che vi è sbarcato si appresta, determinato come non mai, a conquistare quel suo fantastico nuovo mondo.
Le nostre biciclette sono come delle caravelle; goffe ed eleganti al tempo stesso, tozze, ma leggiadre. Con le vele spiegate ed il timone puntato lontano. Costantemente dirette verso la linea dell’orizzonte, con la stiva carica di ninnoli e speranze. A solcare le rotte dell’ignoto, a sfidare i venti. Mentre gli equipaggi vanno affinando l’intesa e l’affiatamento pedalata dopo pedalata, con il fischietto a scandirne la progressione.
Col passare dei giorni i nostri movimenti acquisiscono gli automatismi giusti fino ad accordarsi su un sincronismo quasi perfetto. Io ormai guido ostentando sicurezza, permettendomi perfino qualche sberleffo alle regole del traffico che Claudio asseconda seguendomi senza più titubanze. Proprio il suo modo di affrontare le circostanze spalanca nuove prospettive sulla mia baldanza di navigato randonneur, tanto che comincio a guardarmi attorno con occhi diversi.
Già, gli occhi.
Ho sempre pensato ad esempio che questi fossero gli unici organi attraverso i quali l’uomo è capace di vedere. Non è così. Claudio mi fa capire che esistono altri occhi. Mi insegna a vedere ascoltando, toccando, respirando.
E sono suoni. Scompigliati e stridenti fino al limite dell’impertinenza quelli della costa. Suggestivi quelli ascoltati tra le mura dei tanti borghi medioevali dell’interno, fatti di voci cantilenanti, di echi di passi e di sorprendenti melodie di cantastorie. Seducenti i fruscii lungo le rampe pirenaiche quando è il vento a diventare protagonista alternando lievi folate, calme piatte ed improvvise raffiche come a comporre autentiche sinfonie.
Sono silenzi. Profondi ed ovattati che ci avvolgono mentre attraversiamo le lande dell’interno dove le uniche avvisaglie di realtà sono costituite dai belati di qualche pecora. E dalla sfrontatezza di grilli e cicale i cui canti suonano irriverenti della perfetta quiete che li circonda.
Sono profumi. Sottili e delicati sentori di essenze floreali e di colture fruttate che si alternano a ventate pregne ed intense sbattute addosso dagli immancabili sbuffi di vento. Di resina di pino e di spezie. Di erba secca e di salsedine.
Sono sapori. Sempre sapidi e pieni, sia che si tratti di carni poderose, di verdure pasciute, di oleose tapas oppure di frutta rubiconda e succosa. Sintesi tangibile di una terra fertile e generosa.
Dei colori invece cerco di cogliere ciò che inonda l’inconscio di Claudio. Sono bagliori, riflessi, macchie, striature e flash improvvisi capaci di tessere la trama di una storia che racconta un paese fatto di raggi di sole accecanti, di scogliere strapiombanti sul vuoto, di mari profondi, di tavolozze di campi fioriti e di maioliche accese da pennellate spudorate.
Per la nostra sicurezza programmiamo le tappe evitando sia le ore notturne che quelle dei crepuscoli durante le quali è preferibile starsene seduti davanti ad un bicchiere di vino parlando con gli anziani del posto. Ad ascoltare racconti in equilibrio tra orgoglio e nostalgia. Ma anche sottostando ad un ricorrente tiro incrociato di domande, alle quali abbiamo ormai fatto l’abitudine, su come sia mai possibile rinunciare alle comodità di un viaggio in automobile per scegliere invece di faticare in sella a delle biciclette.
Ad affrontar perigli.
Sono quei rischi che guidando l’andatura cerco di intuire, prevedere e anticipare, segnalando a Claudio ogni tipo di ostacolo. Buche, dossi, grate, tombini. Vetri rotti, ghiaino, siepi sporgenti e i bordi dei marciapiedi perfidamente occultati da tonalità di grigio su grigio. Ma anche auto che svoltano, portiere che si aprono, pedoni che attraversano, bimbi che giocano. Cani, gatti, serpi. Perfino oche coraggiose e galline pollastre.
Cerchiamo di prevenire ogni cosa, sia gli accadimenti plausibili che quelli improbabili.
Ma non tutto è possibile prevedere.
Non quel camion dal cui cassone è caduta un’enorme cassa di legno che per poco ci rovinava addosso. Non quel rametto sollevato dalla mia ruota che s’è andato ad incastrare nella catena facendoci ruzzolare entrambi a terra. Non quel gregge che senza un motivo umanamente comprensibile ha deciso di attraversare la strada finendo per intrappolarci senza via d’uscita.
Ma c’è una cosa che al di là di ogni ragionevole intuizione non avrei mai potuto immaginare. È stato dirigendoci verso l’imbarco per il rientro, dopo venti giorni di inseguimenti e fischiettate, a gita quasi conclusa.
Percorrendo l’ultimo chilometro.
D’improvviso avverto un respiro alle mie spalle. Mi giro e vedo Claudio che spinge forte sui pedali. Avanza con scatti rapidi e veloci, con movimenti secchi. A testa alta. Mi raggiunge e mi affianca. È questione di un attimo. Poi di slancio mi supera e passa davanti a tirare un’andatura frenetica, vorticosa, quasi convulsa.
Io resto attonito, come stordito, con le gambe imballate, incapace di stargli a ruota. Riesco solo ad inseguire con lo sguardo quel suo irraggiungibile andare, quella sua pedalata irrefrenabile. Ho il cuore in gola mentre lo vedo in lontananza condurre quella folle corsa. Irrazionale, pericolosa e dissennata.
Una volata meravigliosa.
È lui a tagliare il traguardo per primo.
Da solo, a braccia alzate.
Molto più indietro, sorridendo, le braccia al cielo le alzo anch’io.
Carlo Favot
Nasce a S.Vito al Tagliamento (PN) nel 1959. E’ un appassionato di cicloturismo inteso nell’accezione più ampia del termine, dell’utilizzo cioè della bicicletta come mezzo per una conoscenza dettagliata ed approfondita delle zone attraversate. La bicicletta è però per lui soprattutto l’occasione che gli consente approfondimenti di natura geografica, esperienza di vita nonché riflessioni sentimentali ed emotive che poi traduce nei suoi scritti.
Ha effettuato raid cicloturistici in svariate regioni italiane ed europee che gli hanno valso il conseguimento di diplomi e brevetti nazionali ed internazionali. Tra questi figurano il diploma della “Confrérie des Randonneurs sans Frontieres”, organismo internazionale che associa i cicloturisti che con finalità di fratellanza hanno percorso in bicicletta l’equivalente in chilometri della circonferenza della terra.
Ha scritto diversi libri e guide su itinerari cicloturistici, aspetti del territorio, consigli ai ciclisti, poetica della bicicletta e dell’andare lento nonché sulla sicurezza stradale. Libri che vantano tra le altre prefazioni di Sergio Zavoli e Francesco Moser.Alcuni suoi servizi, articoli e foto sono pubblicati su importanti testate internazionali, nazionali e locali quali Panathlon International, La Repubblica, Gente Viaggi, Plein Air, TuttiFotografi, La Gazzetta dello Sport, Le Tre Venezie, Il Gazzettino ed altre (numerosi gli articoli tradotti in diverse lingue) in particolare su tematiche di carattere turistico, sportivo e di costume. Bell’Italia, No Limits, Geos, La Bicicletta ed altre riviste gli hanno inoltre riservato citazioni.