Premio Letterario Internazionale Merano-Europa Quarta edizione 2001
Daniela Monreale
La nitida incoerenza
Portammo a Sterzing chiazze di luce, andando piano
in questa frescura che soggioga , come chiave nevosa
che esclude l’ansia del chiarore,
ce ne accorgevamo, serenamente, mentre al riparo
delle travi disuguali riposavamo
E sapevamo d’essere nel lento , nell’incerto,
avendo le Alpi come grana dello sguardo, la dimenticanza come
grappolo di festa, una lunga notte
lacunosa di parole, ma non sottratta agli occhi
Un dolce assenso irrimediabile, agendo di sorpresa
sul passaggio tra i contrari, un viso – il tuo – che sfugge
alle sterili nominazioni, e scivola agilmente
sul mio palmo, come un nido
Una luce clandestina che distende, serpeggia
tra i rumori – lingua ribelle di trafitture – e mira dritto
sulla cima degli abeti, ciò che di certo vedevamo
E scoprivamo la parte illesa del colloquio, la frana
della zolla che porta morbidezza, il terreno delle
verità sospese, l’attimo prima di fissare ferendole
le cose
Sapevamo – senza certezze – ma con la stessa
chiarità delle definizioni, unica intuizione, senza le distanze
e nel conto delle azioni l’ingenuità del perdersi
La colpa, il diniego a schiera di paure, appena
lasciammo all’ingranaggio la scorza razionale
ci tuffammo nel verde protettivo, una simile
a noi sfrangiata timidezza
Al confine avevamo, eravamo senza reti nel guardare
giù la valle, la gola soleggiata e ombrosa
che a ogni dubbio il suolo rende
Così è attendere e dare, la sola sosta incolume,
la nitida incoerenza che dipana il filo, dicevi a me
con le pupille di cobalto, senza fretta,
a testimone del viaggio, della sua promessa illesa,
del suo prendere niente.
Avvicinamento
se il filo è segnato per me
da questo corso d’infiorescenza
e non muta la mia sempreverde
incipienza dei sogni,
se solo potessi
rigovernare questo mio tempo
senza pace, quest’arco delle promesse,
questo ritorno ellittico di addii che gravano
su di me come un rosso
monolite incandescente
e se io dispersa nel mio stesso fuoco
innumerevoli volte arresa
all’espianto prematuro della
mia smaniosa anima,
se strapazzo il mondo dentro me
con reliquie di diamante al tatto gelide
perché la solitudine non chiede, sottrae
e dimentica, come tutte le svolte
indecorose dei legami a mezzo il loro corso,
orfane di memoria, e più oltre il fascio dei raggi ,
del consueto occaso che mi risogna
un paesaggio, una musica per viola,
una luce ardente di pupilla
che istiga la mia, che rimescola le stagioni
in un gioco silenzioso di accensioni
e se penso che è il tuo arrivo che mi
consola mi dà una mappa dove è possibile
cercare ancora, dove posso sapere
che ci sei, che sei in un sentiero
prossimo e non per illusione al mio
ora che mi addormento in questo
anfratto illuminato,
mi disincaglio
e mi distendo dal mio perenne
scoglio.
Angeli
I
salti che il buio non torna , restituzione di incertezze,
sarà che il freno dell’abisso non perdona, ma io mi
beffo della morte e canto con la voce piana di innocenza.
Guardo te che leggi nel mio leggio tarlato, e affoghi le parole,
come lucida eclissi per ogni cenere di esilio.
Segniamo il passo, io e te, soffrendo la distanza come
un fresco girasole nel mattino, pescando nuove azioni
nell’oceano sonnolento, a occhi chiusi, senza dire pronunciare
i nomi delle cose.
Senza dir nulla io e te racconteremo il Viaggio,
staremo al caldo tutti gli inverni a setacciare il chiaro
dall’oscuro, con un morso giovanile di riscatto
senza dare al cielo la sua importanza e senza perdere la terra,
come un distratto cieco, un angelo dovunque
II
Il Guaritore non sarà il Tempo, saranno i polpastrelli lievi
che ritracciano i confini, sarà la consegna dei sorrisi
all’ultimo grado di silenzio, dove il raccolto
sarà il tuo miele senza età, la conca semplice dei baci.
Diamo la caccia alle parole nuove, e facciamone
perle di ciliegie, mangiamone la polpa
e saremo un giardino selvatico di amori,
senza padroni, senza più nasconderci.
Lo scoppio di risa degli occhi tuoi sarà
il mio candido aquilone