Letteratura per l’infanzia – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa Ottava edizione 2009
Secondo premio
Laura Venuti
Porcella e il mostro della polvere
In un condominio della vostra città, non lontano da casa vostra, abitava una bambina di nome Porcella. Porcella viveva con i suoi genitori e sua sorella ed era la più disordinata della famiglia, tanto disordinata che la sua stanza assomigliava a una porcilaia, che è la casa del porcello.
Pensate che nella stanza di Porcella c’era una poltrona a tal punto ricoperta di pupazzi ammassati alla rinfusa da non riuscire più a sedersi, un armadio a tal punto colmo di vestiti appallottolati da non riuscire più a chiudersi e un tappeto a tal punto impolverato da non riuscire più a essere sollevato da terra.
C’era anche una pila di calzini sporchi talmente alta da avere l’aspetto di una piccola montagna, una cassettiera talmente piena di carte di merendine da assomigliare ad un cassonetto dell’immondizia e una casa delle bambole talmente piena di cianfrusaglie da sembrare sul punto di scoppiare da un momento all’altro.
Porcella, poi, dormiva su di un letto su cui non cambiava mai le lenzuola e così le coperte si accumulavano l’una sopra l’altra, tanto che oramai il letto era diventato così alto che per coricarsi doveva arrampicarsi su una piccola scala.
I suoi genitori la sgridavano di continuo.
– Porcella, metti in ordine i tuoi vestiti, altrimenti non trovo quelli da mettere in lavatrice! – le diceva la sua mamma.
– Lo faccio appena finisco di leggere il mio fumetto. – rispondeva Porcella sdraiata sulle montagne di coperte sporche a fare merenda. Porcella però, quando finiva di leggere il fumetto, non solo lo lasciava lì dove era ma buttava anche per terra la carta della merendina.
– Porcella, metti a posto i tuoi giocattoli, altrimenti non trovo quelli rotti da aggiustare! – le diceva il suo papà.
– Lo faccio appena finisco di giocarci. – rispondeva Porcella seduta per terra a giocare. Ma di nuovo Porcella appena finito di giocare lasciava tutto in giro senza mettere in ordine.
Questa storia si ripeteva ogni giorno, tanto che la sorella maggiore Valentina, passando davanti alla camera di Porcella, si turava il naso lamentandosi del fatto che la stanza, oltre ad assomigliare ad un porcile, ne aveva anche assunto lo stesso sgradevole odore.
La verità era che a Porcella la sua stanza piaceva così come era e, nonostante il disordine, lei sosteneva di trovare sempre tutto e di non perdere mai niente.
Un giorno, tuttavia, accadde qualcosa di inaspettato. Porcella era impegnata nella sua camera a cercare la sua palla rosa, ma per quanto cercasse e ricercasse non le riusciva proprio di trovarla. Aveva guardato in mezzo al monte di calzini, nel cassetto pieno di cartacce e persino nella cesta dei giocattoli vuota per vedere se non c’era finita per sbaglio. Ma niente, la palla rosa non si trovava da nessuna parte. Nei giorni successivi sparirono anche il suo cerchietto con le stelline, i suoi pattini a rotelle e il suo cavallino di legno. Porcella cercò dappertutto ma alla fine dovette rassegnarsi.
L’indomani però si accorse che mancava qualcosa di veramente importante: Lauretta. Lauretta era la bambola preferita di Porcella da quando nemmeno camminava. Era una bambola con i riccioli biondi che quando le davi da bere un piccolo biberon di plastica faceva la pipì. Porcella l’amava tanto che da piccola se la trascinava dietro gattonando per tutta la casa.
A forza di venir strascicata e sbatacchiata la povera Lauretta aveva perso un occhio e il meccanismo che le faceva fare pipì si era rotto. Ciò nonostante Porcella non aveva mai voluto buttarla via. Capirete quindi il terrore che l’assalì quando la bambina non trovò più Lauretta da nessuna parte.
“Forse la mamma l’ha presa per lavarla” pensò Porcella è andò nel lavello dove la mamma stava caricando il cestello della lavatrice.
– No, Lauretta non l’ho presa io. – disse la mamma. – Perché non chiedi a Papà? Forse l’ha presa lui per aggiustarla.- Porcella si recò nello studio dove il papà stava chino sui ai pezzi del tostapane che stava tentando di riparare.
– No, Lauretta non l’ho presa io. – disse il papà. – Perché non lo chiedi a tua sorella? Forse l’ha nascosta lei perché le dava fastidio l’odore. – Porcella andò a bussare alla stanza di Valentina.
– No che non ho preso io quello sgorbio puzzolente che tu chiami bambola! – disse sua sorella poco gentilmente. – Ed è ovvio che non la trovi, con quel disordine che hai in camera! Non mi stupirebbe se l’avesse rubata il Mostro della Polvere. –
– Il Mostro della Polvere? – ripeté Porcella stupita.
– Ma certo, Piattola, non lo conosci? È viola e tremante come una gelatina e ha tanti tentacoli viscidi come quelli di un polipo. Ha cinque occhi e si nutre della polvere che sta nelle camere delle bambine disordinate come te. E più polvere e sporcizia c’è, più lui si fa forte e grande! – spiegò Valentina con l’aria saccente delle sorelle maggiori che vanno già alla scuola media.
Porcella tornò in camera sua e si mise a cercare un’altra volta. Aveva deciso che pur di trovare Lauretta avrebbe perlustrato ogni angolo della stanza. Ma per quanto avesse ribaltato l’intera stanza non aveva trovato traccia della sua amata bambola. Sentiva già le lacrime di sconforto premere contro gli occhi, quando d’un tratto vide una gamba di Lauretta spuntare da sotto il letto tappezzato di coperte.
Tutta contenta Porcella si chinò per raccoglierla da terra. Ma la bambola sembrava essere incastrata sotto il letto. La bambina si accucciò sul pavimento e alzò una a una le tante coperte che coprivano il materasso per guardare cosa bloccasse la sua amata bambola.
Quando alzò anche l’ultima trapunta quasi le venne un colpo perché si ritrovò faccia a faccia, anzi occhio a occhio, anzi due occhi a cinque occhi, con un enorme ammasso gelatinoso viola che teneva Lauretta avvolta in uno dei suoi viscidi tentacoli. Il Mostro della Polvere!
Porcella prese a tirare con forza per liberare la sua bambola dalle grinfie di quel mostro molliccio. Solo che il mostro non sembrava intenzionato a lasciarla ma anzi iniziò a tirare a sua volta cercando di trascinare anche Porcella sotto il letto.
Tira che ti ritira finalmente il mostro mollò la presa e bambina e bambola ruzzolarono all’indietro sulla montagna di calzini sporchi che era puzzolente ma per fortuna anche morbida. Porcella corse subito dalla mamma a raccontarle l’accaduto.
– Ma che fantasia hai! – le disse la mamma che non aveva creduto alla storia del Mostro della Polvere. – Ora và a lavarti le mani che è pronta la cena. – aggiunse mettendo i piatti in tavola.
Quella sera però Porcella era troppo spaventata per avere appetito e lasciò intatta nel piatto la cotoletta con le patatine che pure era la sua pietanza preferita. E per la paura non riuscì nemmeno a dormire e così l’indomani mattina si alzò stanchissima e assonnata.
Facendo colazione però le venne un’idea che le fece riacquistare di colpo le energie: avrebbe pulito la sua stanza eliminando ogni traccia di lerciume, sozzura e sudiceria in modo che il mostro non avesse più nulla con cui nutrirsi!
Per prima cosa Porcella iniziò a piegare i vestiti ordinatamente nell’armadio, portando la pila di calzini sporchi a sua madre che fece subito una lavatrice tutta soddisfatta. Poi raccolse tutti i giocattoli sparsi in giro e li mise al loro posto nella cesta, portando quelli rotti a suo padre che si mise subito a ripararli tutto contento. Dopo strigliò, pulì, lucidò, strofinò, spazzolò e lustrò finché tutta quanta la stanza profumò di fresco tanto che Valentina venne a sentirne il buon odore tutta gentile.
Ci volle quasi tutta la giornata ma alla fine la stanza brillò lucida e pulita. Mancava solo il letto. La bambina andò a prendere l’aspirapolvere e dopo averlo acceso avanzò rombante e minacciosa verso il letto.
Broooom! Broooom! Faceva l’aspirapolvere alla massima potenza, quando d’improvviso la palla rosa rotolò da sotto il materasso ai piedi di Porcella. Poco dopo arrivarono anche il cerchietto con le stelline, i pattini bianchi e il cavallino di legno. Uno dopo l’altro il Mostro della Polvere restituì tutti gli oggetti rubati.
Porcella spense allora l’aspirapolvere e nell’improvviso silenzio che ne seguì le parve di sentire dei singhiozzi disperati. Provò a sentire meglio e si rese conto che i singhiozzi provenivano proprio da sotto il letto. La bambina allora si fece coraggio e si inginocchiò a guardare. All’inizio le parve che non ci fosse nulla, tanto il Mostro della Polvere si era rimpicciolito, ma alla fine lo scorse, minuscolo e rattrappito, abbracciato ad una gamba del letto. Se ne stava lì tutto tremante e singhiozzante con grosse lacrime verdi e appiccicaticce che rotolavano giù dai suoi cinque occhi acquosi, tristi e spaventati.
Vedendolo così piccolo e indifeso, quasi del tutto scomparso, Porcella ebbe pena del piccolo Mostro. Allora prese Lauretta che se ne stava tutta pulita e sistemata sulla poltrona e accucciandosi nuovamente sotto il letto la offrì al Mostro della Polvere. Dopo un attimo di titubanza il Mostro tese uno dei suoi piccoli tentacoli e trasse a sé la bambola, cullandola felice e riempiendo il visino rovinato di Lauretta di tanti baci bavosi esattamente come faceva Porcella quando si sentiva triste.
Da quel giorno in poi Porcella e il Mostro della Polvere diventarono grandi amici. Porcella teneva la sua stanza più ordinata di prima ma ogni tanto gettava sotto il letto qualche ricciolo di polvere di cui il Mostro era ghiotto. Il Mostro della Polvere durante il giorno pisolava sotto il letto stringendo Lauretta e la notte restituiva la bambola alla sua proprietaria e faceva la guardia ad entrambe tenendo lontano i Babau e gli Orchi.
E così Porcella dormiva sogni tranquilli e sereni con il Mostro della Polvere sotto il suo letto e Lauretta accanto a lei sotto le coperte, contenta di non esser più così disordinata ma nemmeno troppo pulita.
Biografia: LAURA VENUTI
Laura Venuti nasce a Messina da genitori medici, tra i flutti dello Stretto e gli zampilli dell’Etna. Cresce coma una bambina vivace e piena di fantasia, passando molto del suo tempo in una libreria che ora non esiste più a divorare uno dopo l’altro i romanzi della sua scrittrice preferita, Bianca Pitzorno. Dopo essersi diplomata al liceo classico della sua città ed aver passato un anno in America, approda a Milano, città senza porto ma con un mare di nebbia. Sebbene sia cresciuta, continua a fantasticare come da bambina finendo spesso al deposito dei tram assieme al tramviere. Fantasticando tra una partita doppia e un bilancio consolidato si laurea in Economia alla “Bocconi”, inizia a lavorare a Bologna e dopo pochi mesi si invola nella colorata India mettendosi a fare una cosa che si chiama microcredito e che in pratica significa dare piccole somme di denaro a gente poverissima in cambio di sorrisi. Qui in India inizia a scrivere il suo primo romanzo per ragazzi. Tornata in Italia, a Verona, inizia ad occuparsi del macrocredito che in pratica significa prestare enormi somme di denaro a gente ricchissima che non sorride quasi mai. A Verona inizia finalmente a mettere per iscritto le fantasie che da anni le si aggirano per la testa scrivendo il suo primo romanzo per ragazzi ma anche racconti per adulti e racconti per bambini, come, ad esempio, quello proposto a Merano.