- Premiazione della Nona edizione – 2011
- Vincitori e finalisti 2011
- Narrativa 2011- Fabrizio Tummolillo
- Poesia 2011- Giancarlo Piciarelli
- Narrativa per l’infanzia 2011 – Antonella Noventa
- Traduzione 2011 – Eugenia De Nicola
- Testo teatrale 2011 – Maria Dell’Anno
- Galleria fotografica 2011
- Presentazione della nona edizione – 2011
- Giuria 2011
- Comunicati stampa 2011
- Bando e regolamento 2011
Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Nona edizione – 2011
Narrativa per l’infanzia
Primo premio
Antonella Noventa
L’orso Gigi e la melanconia
C’era una volta un orso, che si chiamava Gigi.
L’Orso Gigi abitava in una collina vicino al mare, aveva una bella pelliccia bianca, gli occhi dolci, il sorriso gentile e ogni tanto, quando era proprio felice, si metteva a ballare. Quando ballava chiudeva gli occhi, metteva le mani dietro la schiena e saltellava sui piedi, seguendo il ritmo della musica con la faccia beata che hanno gli orsi quando sono felici.
Non gli capitava spesso di ballare, perché l’Orso Gigi viveva da solo e quando si è soli si corre sempre il rischio di lasciare entrare nella propria tana la Malinconia.
Una gran brutta bestia, la Malinconia, ha le zampe corte, il muso largo, il pelo ispido e si gonfia piano piano; è capace di gonfiarsi così tanto da occupare quasi tutta la tana. Sta accucciata tutto il giorno e tutta la notte con gli occhi socchiusi, senza fare nulla e senza dormire.
Una gran brutta bestia la Malinconia.
L’Orso Gigi stava molto attento a non lasciare entrare nella sua tana la Malinconia. C’erano delle regole da seguire con grande attenzione. A volte funzionavano, a volte no.
Una regola diceva. Fate in modo che la vostra tana sia bella e ordinata, con dei fiori su un vaso e dei colori vivaci alle pareti. La Malinconia non ama i fiori e nemmeno i colori. Quindi non entrerà nella vostra tana.
Per questo l’Orso Gigi usciva tutte le mattine in cerca di fiori. La sua collina era piena di fiori, in tutte le stagioni, ma bisognava cercarli nei posti giusti. L’Orso Gigi era diventato bravissimo a trovarli.
Si ricordava in quale angolo fiorivano le prime viole quando la primavera è ancora lontana e tutti gli altri orsi pensano che sia ancora inverno. Ma non l’Orso Gigi. Lui sapeva che in quell’angolino riparato dal vento, scaldato dal sole tiepido di febbraio, potevano fiorire le viole. E quando le vedeva, fragili e delicate, e proprio per questo ancora più belle, ne prendeva una, una sola. Allungava la sua zampona di orso e delicatamente, con tutto l’amore che solo l’Orso Gigi poteva avere, coglieva una viola, la portava nella sua tana e la metteva da parte. La metteva da parte per il suo grande amore.
Poi si sedeva con la schiena appoggiata al tronco di un albero e si guardava intorno.
Guardava la sua collina, la collina di Sant’Orso, piena di alberi e di prati che scendevano dolcemente fino al mare. Guardava il mare, laggiù in fondo e poi il cielo e le nuvole e si sentiva felice. Felice di sentire la terra morbida sotto la pelliccia e il tronco ruvido dietro la schiena. Felice di vedere il sole filtrare tra le foglie della quercia sopra di lui. Felice di ascoltare gli uccelli cantare. E si addormentava.
Dormiva russando pianino l’orso Gigi, con la bocca aperta e la testa inclinata e sognava. Sognava la sua mamma. Lui era piccolo, lei lo teneva in braccio e gli raccontava una storia. Com’era bella la sua mamma. Fra le sue braccia l’orso Gigi stava al caldo anche se fuori c’era la neve e il vento ululava come un lupo triste. Mentre lo teneva in braccio Mamma Orsa si metteva lo smalto rosso sulle unghie.
“Ma mamma,” le diceva l’Orso Gigi, gli orsi non si mettono lo smalto sulle unghie!”
“Perché non sanno quant’è divertente!” rispondeva lei, mentre si soffiava sulle unghie per farlo asciugare. “Stasera torna papà e voglio essere bella. Mi metterò anche un grembiulino.”
“Un grembiulino?” disse l’Orso Gigi sgranando incredulo gli occhi. “Ma a noi orsi non servono i vestiti. Noi abbiamo la pelliccia.”
“Hai ragione Gigi, ma sai quella signora grassa che abita nella casetta gialla in riva al mare?”
“La moglie del Tricheco?”
“Proprio lei.” “Oggi mentre facevo la mia passeggiata in mezzo alla neve ho visto che c’era un grembiulino rosso steso ad asciugare. Era diventato duro come un baccalà. Mentre lo guardavo, mi sono accorta che era proprio della mia taglia. Non ho resistito alla tentazione. Stasera lo metto per papà e domani lo riporto alla moglie del Tricheco. Non se ne accorgerà nemmeno, tanto con questa neve starà chiusa in casa tutto il giorno.”
“Ma mamma, mi hai sempre detto che non si deve rubare!” diceva l’orso Gigi.
“Hai ragione tesoro mio, ma stasera torna papà Orso. Voglio essere l’orsa più bella della collina.”
Mamma Orsa aveva gli occhi che brillavano di gioia e l’orso Gigi si svegliò.
“Mamma,” chiamò “Mamma, dove sei?” ma poi si rese conto che era stato un sogno. E si sentì solo. Nessuno lo stava abbracciando, nessuno gli stava parlando. Sentì le lacrime riempirgli gli occhi: Le asciugò con le zampe, in fretta, guardandosi attorno per paura che arrivasse la Malinconia. Se sentiva odore di lacrime arrivava subito, anche da molto lontano.
A volte arrivava ancora prima che le lacrime scendessero.
Doveva pensare subito a qualcosa di bello, in fretta, prima che fosse troppo tardi.
Doveva pensare ad Alice, la sua cara orsa Alice.
Alice… Quando pensava a lei suonavano i violini e l’Orso Gigi sorrideva beato, con gli occhi chiusi, ondeggiando sulle zampe, seguendo il ritmo dell’amore.
Perché c’era poco da fare e meno da dire, l’Orso Gigi amava Alice.
L’aveva amata fin dalla prima volta che l’aveva vista. L’aveva amata prima ancora di vederla. L’aveva amata prima ancora che nascesse. Era scritto nel loro destino, che si sarebbero amati. Gigi e Alice erano fatti l’uno per l’altro.
La prima volta che aveva visto Alice stava andando in altalena. C’era un’altalena sotto una mimosa rosa e Alice si dondolava felice, sempre più in alto, sempre più in alto, e con le zampe toccava i fiori della mimosa.
L’Orso Gigi la guardava da lontano, affascinato, e sentiva un calore strano diffondersi in un tutto il corpo.
Quando Alice era scesa ed era andata via, aveva provato subito un senso di mancanza.
Voleva rivederla, starle vicino, camminare con lei, mangiare con lei, ballare con lei, andare in letargo con lei, guardare con lei la luna nelle fredde notti d’inverno, quando la neve scricchiola se la pesti e le stelle sembrano più vicine del solito. Voleva stare con lei nelle calde notti d’estate quando i grilli cantano e gli orsi dormono fuori dalla tana cercando il vento che sale dal mare. Voleva stare con lei sotto il sole in primavera quando gli orsi si tuffano nei ruscelli cercando i pesci e giocano e ridono e si spruzzano prima di correre sui prati pieni di fiori. Voleva stare con lei sempre, sempre, sempre!
Questo voleva prima che arrivasse la Malinconia.
Quella brutta bestia un giorno l’aveva colto di sorpresa ed era entrata nella sua tana.
Si era gonfiata piano piano e gli aveva tolto lo spazio. Lo aveva schiacciato contro le radici dell’albero, lo aveva fissato con i suoi occhi brutti e spenti e gli aveva sussurrato:
“Tu non puoi essere felice. Gli altri orsi sì, ma tu no. Andrà tutto male. Tutto andrà male. Non illuderti. Non sognare. Non sognare. Non sognare.”
L’Orso Gigi non era riuscito a chiudersi le orecchie con le zampe e aveva sentito e aveva ascoltato le parole della Malinconia.
Poi lei, la brutta bestia, era uscita dalla tana, ma l’Orso Gigi era rimasto dentro, col muso tra le zampe, a piangere.
Aveva pianto per sette giorni e sette notti e poi si era addormentato. E aveva sognato Mamma Orsa.
“Non piangere stella mia,” gli aveva detto Mamma Orsa. “Alzati, scendi fino al mare. Entra in acqua e nuota. Nuota piano fino allo scoglio grigio. Quello grande, dove si posano i gabbiani. Sali sullo scoglio e resta lì ad ascoltare il mare. Alzati, alzati e scendi fino al mare. Nuota, nuota fino allo scoglio. Alzati e nuota. Nuota. Alzati. Nuota. Alzati!”
Si era svegliato con un sussulto, sentendo ancora la voce della mamma che gli ordinava di alzarsi. E si era alzato.
Era sceso fino al mare. Era entrato in acqua e aveva iniziato a nuotare, piano, verso lo scoglio grigio.
L’acqua era tiepida. Lo avvolgeva cullandolo, lo accarezzava, lo calmava, lo rinvigoriva.
Il muso fuori dall’acqua, sentiva il sole giocare tra le onde, vedeva i suoi riflessi luccicare. L’acqua era verde e trasparente, l’acqua era buona, l’acqua era calma.
Laggiù, in fondo, c’era lo scoglio.
Quando lo raggiunse salì in cima e si distese sulla roccia calda. La pelliccia era grondante d’acqua, la sentiva gocciolare piano piano.
Il vento suonava nelle orecchie la canzone del mare, i gabbiani giocavano con il vento e con il mare. Restavano quasi fermi, sospesi nell’aria con le ali aperte. Poi planavano, battevano le ali e si spostavano un po’.
Nuotavano nel cielo come lui aveva nuotato nel mare.
L’Orso Gigi chiuse gli occhi e sentì una gran pace scendere su di lui. Sentì la musica dei violini tornare, vide di nuovo Alice e ricominciò a sperare. A sperare che anche lui un giorno non sarebbe stato più solo. Anche lui un giorno avrebbe avuto una famiglia, dei figli, una vita normale.
Capì che la Malinconia non avrebbe vinto. Forse sarebbe tornata qualche volta, ma lui l’avrebbe cacciata, non avrebbe lasciato che riempisse di nuovo la sua tana. L’avrebbe tenuta lontana. Sarebbe stato felice. Lui e Alice si sarebbero sposati e sarebbero stati sempre assieme. Sempre.
Questi capì l’Orso Gigi sopra lo scoglio grigio dove si posano i gabbiani.
E vide il cielo diventare rosso e il sole tramontare.
Scese di nuovo in acqua e nuotò, calmo, fino alla riva.
Camminò sui sassi della spiaggia, scosse la pelliccia con forza, spruzzando acqua dappertutto e rise felice come un bambino.
Poi risalì verso la collina di Sant’Orso dondolando sulle zampe e cantando una canzone, mentre i gabbiani andavano a dormire sulla riva del mare.
Antonella Noventa
Nata a Padova nel 1961, dove abita e lavora tuttora. Nelle lunghe estati della sua infanzia amava molto leggere e tuffarsi in un mondo fantastico. Il suo primo racconto fu pubblicato a puntate su La Specola, il giornale della scuola media Mameli, prodotto e stampato dai ragazzi con la matrice e il ciclostile. Cose d’altri tempi. Poi Liceo classico Tito Livio e Laurea in Lingue. D’estate cameriera in Inghilterra, d’inverno Shakespeare all’Università. In seguito le vicende della vita le fecero mettere i suoi sogni nel cassetto. Niente più racconti, tante invece le traduzioni, dall’inglese e dal tedesco. Tra le ultime pubblicate Amalo di B. Kaye e S. Jordan-Evans, Inseguendo la luce di Eugene O’Kelley, Un mare di idee di Jack Foster. Solo recentemente ha ricominciato a scrivere storie, che spesso hanno per protagonisti animali.