- Premio letterario Merano Europa – Tredicesima edizione 2019
- I vincitori della 13^ edizione – Die Sieger der 13. Ausgabe
- Tina Caramanico – Narrativa in italiano – Italienische Erzählprosa
- Hugo Ramnek – Narrativa in tedesco – Deutsche Erzählprosa
- Finalisti: gli autori e le opere – Finalist-innen Autoren und Werke
- Ivana Gini – Narrativa in italiano – Italienische Erzählprosa
- Fabrizio Tumolillo – Narrativa in italiano – Italienische Erzählprosa
- Maximilian Gasser – Narrativa in tedesco – Deutsche Erzählprosa 2019
- Barbara Pumhosel – Narrativa in tedesco – Deutsche Erzählprosa 2019
- Giuria 2019 – Jury 2019
- Bando 2019
- Ausschreibung 2019
- Traduzione dall’italiano al tedesco 2019
- Traduzione dal tedesco all’italiano 2019
Premio Letterario Internazionale Merano-Europa –Tredicesima Edizione – 2019
Internationaler Literaturpreis Merano Europa 13. Ausgabe 2019
Narrativa in italiano – Italienische Erzählprosa 2019
Finalista
Ivana Gini
Nessuna bellezza
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Scostò la tenda.
L’alba era ancora torbida come nero di seppia, ma, oltre la strada, già il mare cominciava a brillare tra gli scogli affilati dal vento.
La sera prima, il partigiano Michalis aveva infilato un biglietto sotto la porta, poche parole scribacchiate in fretta: quelli si stavano ammassando giù al porto, forse andavano via, forse la guerra era finita. Per tutta la notte non aveva smesso di rigirarsi in bocca quelle parole: la guerra era finita. Anche adesso – mentre lo sguardo vagava fuori dalla finestra
– anche adesso se le ripeteva, ed erano più dolci del miele.
D’un tratto, aggrottò la fronte. Guardò meglio. La luce crescente cominciava a rivelare in fondo al cortile una for- ma scomposta, una sagoma che non riusciva a… Forse, i vicini delle case di sopra le avevano lasciato qualcosa da mangiare, magari parte di una pecora appena macellata. Succedeva, a volte. Sapevano bene che nessuno provvedeva a lei, da quando il suo Zavos era stato fucilato. Si azzardò a socchiudere la porta.
Quelli non scherzavano, lo sapeva bene.
Uscì guardandosi intorno. Avanzò nel cortile a piccoli passi,il cuore impazzito. Troppo voluminoso, quel sacco, soltanto ora se ne accorgeva :chissà come la sua strana for- ma l’atterriva più del rischio che stava correndo. Alla fine, riconobbe la divisa.
Si aggrappò al grembiule.
Avrebbero incolpato lei e la gente del villaggio, li avrebbero ammazzati tutti. Così facevano. Uno dei loro valeva dieci degli altri. Decise in fretta.
Dentro il pozzo. Buttarlo subito là dentro.
Ma l’acqua si sarebbe guastata. Allora, scaraventarlo giù dagli scogli.
No. Troppo lontano. Una di quelle loro dannate camionette poteva arrivare in qualunque momento.
Il sole dardeggiò dal monte. Pericoloso rimanere là in mezzo. Corse in casa a studiare la situazione. Avanti e in- dietro, indietro e avanti si tormentava le mani cercando una qualche ispirazione tra le macchie del soffitto, ma dal Cielo non arrivavano suggerimenti.
Scostò la tenda, guardò ancora: quel maledetto in mezzo al cortile non era morto – nossignore! Si muoveva, in- vece: più debolmente di una piovra sbattuta contro la pietra, ma ancora si muoveva.
Che cosa doveva fare, lei, adesso?
Si segnò in fretta tre volte – nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito.
Quasi in risposta, un uccello attraversò il cielo ed era
mezzo bianco e mezzo nero per via della luce. Per tre volte volò intorno alla casa e gridò forte prima di scomparire. Quel grido le diede la forza che cercava. Sputò in terra, come faceva suo padre dopo il primo mozzicone della giornata.
“Se non sei ancora morto, maledetto”, ringhiò, “ti ammazzo io. Giù dagli scogli, subito. E succeda quel che succeda.”
Socchiuse di nuovo la porta. Guardò. Corse fuori. Con un vigore che non sapeva di avere, agguantò il ragazzo per i polsi e se lo tirò sulle spalle. Fu sorpresa da quanto era leggero. S’avviò. Gli scogli non erano poi così lontani.
Stava per arrivare, quando la voce del pope, che quelli avevano appena fucilato, giunse fino a lei dal regno dei morti. La folgorò con la sua dolcezza.
“Ricorda quel che ti ho insegnato”, diceva, e abbi pietà dei tuoi nemici. Siamo fratelli. Tutti fratelli, siamo, su questa martoriata terra.”
La donna s’impietrì in mezzo alla strada. Il sangue del ragazzo le colava addosso come acqua. Che cosa voleva, adesso, quel prete? Non poteva, non voleva ascoltare, ma la voce diventava sempre più forte. Risuonava nelle orecchie potente come il vento invernale quando agita il mare e spegne ogni colore. Provò a tacitarla richiamando alla mente tutti i morti e la sofferenza e l’orrore che quelli avevano portato sull’isola, ma la voce non smetteva. Riecheggiava all’intorno e dentro di lei, travolgendo ogni resistenza. La furia si ritirò dal suo sangue. Le gambe si piegarono. La vista si annebbiò. Il corpo inerte le scivolò dalle spalle e finì a terra, più lento di un sospiro.
E adesso?
Prese fiato e la forza, chissà come, ritornò. Si raddrizzò sulle gambe, il mento proteso Non era una delle solite donnette, lei. Era una dura. Quando era già malato, lo diceva anche suo padre, e ogni volta gli scappava un mezzo sorriso.
Adesso, si rispose, se era questo che voleva il suo pope – se era proprio questo – e se davvero Michele aveva ragione e quelli erano tutti giù al porto, adesso avrebbe fatto una pazzia.
Avrebbe portato il bastardo giù al paese – da quelli che avevano studiato, il dottore, il farmacista, se la vedessero loro con quella faccenda.
Respirando forte, si aggiustò il corpo sulle spalle e tornò a caracollare come una bestia da soma: giù dalla strada e su per la strada, tra gli alberi di fico crepati dal sole. Un fuscello era, quel maledetto bastardo, più leggero di un bambino. Una come lei ci metteva niente a portarlo giù in paese.
All’improvviso un vento cattivo le si avventò contro e le pareva di non farcela più, ma ogni volta, proprio quando stava per crollare, si alzava l’urlo potente delle cicale e l’odore dei ricci di mare le entrava nei capelli e gli uccelli urlavano intorno: forza forza forza. Di nuovo arrivava la voce del pope: “Chi ti salverebbe dall’odio”, diceva, “se non ci fosse quel povero cristo, adesso, sulle tue spalle. Non senti, non vedi? Siete due corpi diventati uno solo, saldati dal suo sangue e dalla tua pietà.”
D’un tratto, il paese bianco splendente balzò dalla curva come una bestia troppo a lungo in attesa. Prese fiato quel che bastava a continuare la marcia. Arrivò alla casa del farmacista. Bussò e bussò.
Alla fine qualcuno scostò la tenda. La porta si aprì di scatto e il farmacista la strattonò dentro senza una parola. Neppure la moglie e i suoi bambini dissero niente. Il dottore, che abitava di sopra, ciabattò giù dalle scale, la camicia aperta sul petto.
Per un breve lunghissimo istante, rimasero tutti a guardare ciò che lei portava sulle spalle. La moglie del farmacista si riscosse per prima. Prese per mano i bambini e li allontanò. I due uomini le trassero il corpo di dosso e lo trasportarono nell’attigua farmacia. Lo distesero sul bancone con grande attenzione. Che delicatezza – pensò lei – roba sprecata per quel bastardo. Stava per sputare in terra, invece si avvicinò a guardare.
Quel che vide la ricacciò indietro come un pugno in pieno petto: solo adesso si accorgeva di quel che gli aveva- no fatto. Gli guardò le mani. Le unghie erano rosicchiate fino alla carne viva come quelle del suo Zavos quando ave- va paura.
Il farmacista e il dottore gli tagliarono di dosso la divisa zuppa di sangue. Sembrava che pregassero sottovoce, ma forse stavano solo decidendo tra loro quel che restava da fare. Molto poco, a giudicare dalle loro facce. Arrivò la moglie del farmacista, con un vassoio di latta e tre chicchere bianche.
“Cicoria. Bevi anche tu Athina, che ti fa bene.”
Dalla finestrella là in alto il sole irruppe con violenza e circondò di luce il ragazzo disteso.
Il dottore la guardò: “Non arriva a mezzogiorno, questo qui. Bell’affare hai fatto a portarlo da noi.”
“E cosa dovevo fare. Dove lo portavo.” “Sei sempre la solita. Volevi salvarlo, no? “ Athina chinò la testa.
“Comunque, stanotte vedremo di farlo sparire. Magari lo buttiamo dagli scogli.”
“Ci avevo pensato anch’io, ma poi.” “Poi, che cosa?”
“Il pope.”
“Ma quale pope, Elvira. L’hanno fucilato, no?”
Appunto, rispose lei dentro di sé. Non gli avrebbe dato ascolto se fosse stato vivo, ma la volontà dei morti non si discute. E poi, facile parlare. Bisognava averla udita nella testa, quella voce che reclamava pietà. Lei, ormai, non sape- va più da che parte stare. Aveva tenuto quel ragazzo stretto contro di sé – il corpo contro il corpo – come una madre, come un’amante, ma come poteva dimenticare quello che avevano fatto al suo Zavos prima di ammazzarlo.
Si portò una mano alla bocca. Il cuore le si squarciò.
Scappò fuori nella piazza rovente di sole. Una brutta quiete gravava sul paese, come un temporale senza sfogo.
Guardò intorno senza più timore. Che la prendessero pure – e la ammazzassero anche – perché, ormai, niente le restava. Niente, senza la forza del suo odio.
S’inerpicò lungo la strada sassosa che portava al suo villaggio. Ogni cosa, adesso, ondeggiava all’urlo di quel
vento che pareva più azzurro del mare, gli ulivi e la liquirizia e anche il mirto selvatico. E i colori si facevano via via più splendenti e i profumi più penetranti e la luce divenne così sfolgorante che anche il suo cuore, d’un tratto,cambiò. Dicessero pure quel che volevano,giù al paese, ma il pope, adesso, poteva dormire tranquillo.
E forse la guerra era finita davvero.
E lei non sarebbe mai diventata un’assassina. L’odore forte dell’origano bruciato dal sole la investì.
Provò a sorridere. Una volta, due, tre. E alla fine, chissà come, ci riuscì.
Ivana Gini è nata e risiede a Verona. Dopo aver conseguito la laurea in Lettere, per qualche anno ha insegnato italiano e storia presso le scuole superiori, prima di intraprendere un nuovo percorso professionale nel campo della pittura ad acquarello e della creazione di tessuti originali. Ha partecipato a svariati concorsi letterari, proponendo testi di narrativa e di poesia. A breve è attesa la pubblicazione del suo primo romanzo.