Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Terza Edizione – 1999
Opere fuori concorso 1999
- Donj Ladevac (HR) – Ako Bog Da (Se Dio vuole)
- Khatib Ahmad (Siria) – Su e giù cielo blu
Il premio “MERANO – EUROPA” – pur avendo come priorità assoluta la diffusione e la promozione della letteratura – intende essere anche testimone attento e partecipe delle diverse realtà.
È per questo motivo che il “Passirio Club” ha deciso di accogliere e pubblicare – fuori concorso – un contributo della “Caritas Diocesana” di Bressanone ed uno dell’ Istituto “Carlo De Martino” di Milano che cura corsi di approccio al giornalismo rivolti ai detenuti.
DONJ LADEVAC (HR)
Ako Bog Da (Se Dio vuole)
“Ovce… moje… ovce…”
Non ci riconosce più Roza. Ci vede, ma chissà chi siamo per i suoi occhi, per la sua mente antica che insegue con tutte le forze le immagini di una terra in cui una certa luce, cinque o nove colline, l’albero prediletto ed alcuni volti importanti rappresentano un’ultima vita, sua e di nessun altro, in cui è sola ad affrontare la prova estrema della vecchiezza.
“Le pecore… le mie pecore… le pecore…”
Sono passati diciassette anni dal suo ritorno in patria. Vive con sua figlia Mara in una casupola in legno, in un vallone : prati e boschi, qualche campo coltivato. A lei non importa più se non c’è acqua corrente, se non c’è energia elettrica, se il tetto è pericolante; a lei interessano, oramai, solo le sue pecore. Sono anni che non ci sono più, ma lei le chiama. Seduta sulla brandina in quella stanza dal battuto di terra, accanto ad una stufetta a legna della sua stessa età, annoda sotto il mento una, due, dieci volte, il fazzoletto grigio che racchiude i suoi capelli e ci interroga , con una nenia disperata, sulle sue pecore che pascolava forse quando era bambina, quando suo padre ancora non era partito verso la Galizia per l’imperatore, quando – giocando a nascondersi – entrava in un cespuglio e ci stava bene, e guardava il cielo da sotto le foglie, e si dimenticava di uscire. La pioggia cade piano, vela i campi, disperde il fumo sulla casupola e macina tutto ciò su cui cade. Con infinita pazienza.
“Ovce… moje… ovce…”
Si alza ed esce con i suoi due bastoni e chiama le pecore, cade e si sporca e chiede aiuto e la figlia è li. Lascia l’accetta per la legna e calzata di fango raccoglie e solleva il fagotto materno. “Nema ovce, baba, nema.” Niente pecore, nonna, non ci sono le pecore. Ma baba Roza continua, come la pioggia, chiamando la Sera e le pecore, a lanciare messaggi alle tante ombre che vede, ombre un tempo conosciute, che le stanno intorno accanto alla brandina a preparare conserve di ricordi. La Sera e il Buio vengono presto a casa di Roza e non trovano candele a fermarli perché le candele costano, né trovano lumi perché il petrolio costa ancora di più. Trovano solo baba Roza.
La figlia ci racconta i dialoghi notturni della madre con le ombre : lei li ascolta e non può dormire e il giorno viene sempre troppo presto a ricordarle l’acqua da prendere, la legna da tagliare, le cipolle e le zucche nell’orto, il cibo da preparare, le pratiche burocratiche per un tetto decente da compilare negli uffici statali, laggiù in paese. Quindici chilometri per andare e tornare sono tanti a piedi, ma sono tante anche le sei kune per la corriera, sono quasi un chilo di pane. Così restano sempre troppo lontani gli uffici delle promesse e degli “ako Bog da”. Darebbero loro una pensione e un letto in un ospizio se vendessero quel po’ di terra, ma a quel po’ di terra sono legate da radici profonde che affondano nel passato e così è caduto anche il vecchio noce, per dare il pane e il formaggio e le sementi da piantare nell’orto. La storia cade al cospetto della fame.
Sul sentiero e nei campi controllati dai falchi, la fanghiglia di marzo blocca i passi di chi cammina e su quel sentiero camminano Milka e il suo futuro andando verso un piccolo campo di granturco, verso le cipolle ed i fagioli, i peperoni, i prugni e il miele delle api selvatiche. Mi tornano alla mente i ragazzi dei dibattiti televisivi che vedo a volte in Italia. Ragazzi della stessa età di Milka che parlano di amori sbagliati e no, di rapporti conflittuali con i genitori, di noia e di cultura, di problemi esistenziali, di anoressia e bulimia. Milka parla solo di cipolle e di ricordi. Forse qualcuno la sposerà un giorno o lei sposerà qualcuno; forse diventerà per sua madre ciò che Mara è per baba Roza. Ci porge una tazzina di caffè e si siede, occhi al pavimento. Noi partiremo fra poco; lei no e come lei Roza. La vita continua, per tutti , almeno fino al giorno in cui non avrà più alcun senso dire domani.
“Ovce… moje… ovce…”
Marzo 1998
KHATIB AHMAD (Siria)
Su e giù cielo blu
Vorrei la pioggia, il sole…
Dio che noia
Il corpo parla nel buio, immobile nella luce morente
Un altro uomo in me, con passi sconnessi
Conta le piastrelle sul pavimento su e giù … cella blu.
Vorrei il sole e le stelle e fosse fredda la notte
Gelidi gli occhi dell’alba
Vorrei che tu fossi la rosa che toccai in sogno
Vidi le nuvole, il tuo volto, ma nessuno mi disse nulla
Ti ero accanto mentre trascinavo i miei passi su e giù … cella blu.
Ed io che aspettavo? Vagabondare all’infinito
Un passo dietro l’altro e illusione sui colori che volano
Termina il viaggio, pareti ovunque
Ma anche il giorno né breve né lungo, sospeso nel tempo
Adesso le cose vanno bene, ti scrivo, salendo, cadendo, su e giù … cella blu
Il vento, ritmo infuriato di canti lontani, un brivido, mi volto
Che rabbia, tu non ci sei, perché?
Ci vogliamo bene, ti conosco in ogni dettaglio del tuo corpo, ma l’anima?
Prigioniero han detto
Vietato amare, protestare, odiare
Sii esemplare e cammina su e giù ..cella blu.
Quante volte avrei voluto accarezzarti, adorarti,
è difficile il ricordo che mi separò dalla tua ombra
ma un sorriso è sempre nei luoghi di solitudine
tra le righe delle lettere, sul prato verde, nasce
d’attesa rinnegata il futuro
spera di baciare la neve, abbracciare l’orizzonte
ancora un poi forza, due passi, tre, mille su e giù … cella blu
Se non arrivo, se non ricordo il tuo indirizzo
Aspettami un’altra stagione, ti prometto, verrò
Attendo i boccioli dei fiori, il sole che riscalda il cuore
Il volare delle foglie, la pioggia, goccia a goccia
Nell’anima che dolor, ancora una stagione?
Mi è rimasto poco, il velo è già alzato, sei tu?
Mi avvicino a passi lenti
Addio cella blu.