Poesia – Premio Letterario Internazionale Merano-Europa – Prima Edizione – 1995
Corrado Calabrò
Distacco
Conca incolore placcata di cirri
che si distinguono appena lassù!
A veleggiare la fuggente estate
sopra il silenzio di zinco dei monti
scorrono a soffi lunghi e ripetuti
le ombre e i vapori portati dal vento,
perdutamente spinti e poi lasciati
per approdare distanziati a oriente.
Rallentata mi penetra nel petto,
nella bocca e negli occhi, sostenendo
e sorpassando il suo precorrimento,
a tratti l’aria, che infine si tende
stringendo il cuore in una pena lenta,
che pure cede e come inutilmente
si svia e s’affloscia, attratta in un distacco
che aumenta al brusco cadere del vento.
Solo ora sento che mio padre è morto!
Prima dell’alba, per andare a caccia,
con lui salivo su per le colline,
tanti tanti anni addietro, incontro al vento.
Andavo, altero della sua fiducia,
e lui seguiva col passo un po’ stanco,
la spalla noncurante e l’occhio acuto.
Immoto, è trasalito l’orizzonte
sbloccando nella volta ingigantita
spazi latenti dietro la calotta,
che arretrano in fondali opalescenti.
… Fondo di raso spianato in segreto
dalla carezza soffusa dell’alba
e in un immenso afflusso ora colmato
d’una colata liquida di vetro,
che appena si distende non si fissa
ma impallidisce rivelando il vuoto!
Frange il vento la siepe di noccioli,
scorre un brivido argenteo nella chioma
degli ulivi più giù per la collina.
Chiudo gli occhi: il tuo volto è un po’ smarrito
ma il tuo cuore galoppa sul sentiero
della mia giovinezza e la precorre
coi passi grandi di quand’ero piccolo.
Inalterato ritraspare il cielo
di sotto alla pellicola di luce,
impedita e adesiva nel suo gelo
ma che, insinuata nel suo stesso incaglio,
avanza a stento in lento disinganno,
come un chiarore crescente di luna…
quasi il tocco furtivo d’una mano
attesa tanto… e poi non trattenuta
che un solo istante e come inutilmente.
… E tutto il cielo sento allontanato,
per la sua sola altezza avido e intento.
Non è avanzato tuttavia il sole…
non è caduto tuttavia il vento…
Peccato non originale
In attoniti petali di cera
apre i fiori socchiusi la magnolia:
offre la sua fragranza bianco intenso
alla notte che addensa verde cupo.
Più in alto, quasi in cima alla collina,
si staglia ancora una nube che allatta
le braccia ascendenti dei cedri.
Le spalle puntate contro il muro,
mi giunge dal tuo collo quel profumo
che credevo svanito, e non ti lascia.
Stordisce la notte di bianco,
coi suoi bulbi incensieri, la magnolia.
Perde l’orientamento un pipistrello
che gira in tondo ai suoi tumidi fiori.
Porti addosso, e non sai, questa presenza,
che nel buio si ridesta silente
come un dolore notturno,
tu portatore sano del tuo male
nel mio angolo d’attesa che si stringe.
Duri come castagne sono i miei occhi.
Pure, come tumide labbra,
pure prende alla gola il turgore,
sopra ogni altra cosa persistente,
della magnolia che si schiude in fiore.
E più che mai, stanotte,
sono frutti carnosi alla tua bocca
i miei seni pressanti.
Oh sì, fin quando questa notte è tale,
come un rettile guizza il desiderio,
ancora, per un tempo interminato,
ancora, ancora s’erge in tutto il corpo,
cieco e fremente,
in disperato agguato.
Ricordati di dimenticarla…
[1]
Non ti regalerò un castello,
e nemmeno un flat a Manhattan.
Non ti regalerò un anello,
col suo occhio spocchioso di diamante.
Ti donerò un ventaglio con su scritto:
“te quiero para olvidarte,
para quererte te olvido”. [2]
[1]
Omaggio a A. Machado
[2]
t’amo per dimenticarti,
ti dimentico per amarti.